Squid Game: “Mamme, datevi una calmata (e spiegatela ai vostri figli)”

Sono un’amica speciale ma sono anche e soprattutto una mamma di due bambini di 7 e 10 anni. Da giorni, settimane, sento parlare di questa nuova serie diventata cult, Squid Game, in cui chi vince diventa milionario chi perde: muore.

Violenta, splatter, pulp, a metà tra il survival game, il dramma e il thriller piscologico, metafora della nostra società eternamente divisa tra winner e loser. Dove non c’è spazio per altruismo, solidarietà, empatia, perché anche quelli diventano ostacoli verso il successo. Il loser pensa agli altri, il winner solo a se stesso, a vincere, anche a costo del “Mors tua, vita mea.

Ovviamente la serie è stata vietata ai minori di 14 anni, a causa dei contenuti, del linguaggio e della violenza mostrata. Ma come spesso accade per i fenomeni di massa, è difficile, al limite dell’impossibile, far sì che la eco, il passaparola, la fama non arrivi anche alle orecchie e agli occhi dei nostri ragazzi, bersagliati da più fronti. Tv, radio, internet, amici, fratelli maggiori.

Succede così che mio figlio, vantando di conoscere la serie (bugia: non ne ha mai visto una puntata, ha forse intravisto qualche trailer di passaggio e ne ha sicuramente sentito parlare dai grandi) proponga ai compagni di giocare, come nella serie a “1, 2, 3 stella”. Pena per chi sbaglia: non certo il massacro, ma un po’ di solletico o finire ultimi nel gioco.

Tanto è bastato per scatenare il putiferio: maestre che mi fermano per chiedere spiegazioni, mamme allarmate che intasano la chat postando articoli che raccontano il fenomeno della pericolosa emulazione. “Fermiamoli, l’imitazione della violenza è dietro l’angolo”. Seguono scuse, richiesta di spiegazioni al bambino, e poi, con calma, la riflessione. Ovvero: anziché vietare senza spiegare, creando un tabù e generando maggiore curiosità, non sarebbe forse meglio spiegare loro di cosa si tratta, cosa vuole raccontare, qual è il messaggio e perché, sicuramente, non è ancora il momento  giusto per vederlo?

Non ha senso tenere i bambini sotto una campana di vetro illudendosi che non arrivi loro l’odore, il sentore, la eco di tutto questo. Tenerli fuori da un mondo che va veloce, rischiando solo di renderli estranei, inconsapevoli, fuori tempo.

Che poi, ci sono videogiochi (vi dice qualcosa Fortnite?), cartoni altrettanto violenti ma senza nessuna morale sottintesa. E le stesse mamme che lanciano l’anatema sono spesso quelle che passano ore e ore su Tik Tok, permettendo anche ai loro figli/figlie di fare altrettanto. Scimmiottando le influencer, dicendo banalità, esaltando il nulla, il vuoto di  contenuti e di spessore.

Ecco, tra una violenza esasperata, che vuole mandare un messaggio preciso, e il vuoto assoluto, io preferisco mille volte spiegare a mio figlio il perché della prima. Sul vuoto, non ho nulla da dire o argomentare.

Ma torniamo a Squid Game: un gruppo di perdenti disperati, sommersi dai debiti, disposti a rischiare di morire pur di risollevarsi dalla propria condizione, non è forse il nostro peggior incubo ma anche quello che accade (troppo) spesso intorno a noi? La disperazione che spinge a tutto: perché sotto lo splatter, la violenza, il sangue di Squid Game c’è molto altro. C’è la metafora di una società – la nostra – dove la divisione tra loser e winner è netta e codifica tutto.

Squid Game è violento, non può essere visto da un bambino di 6-10 anni e nemmeno da un ragazzino più grande se prima non gli vengono chiarite o premesse alcune cose. Ma può essere spiegato, raccontato, moralizzato. Assai meglio di Tik Tok, dei tanti, troppi messaggi che i nostri figli possono ascoltare quando vogliono e che sono inni a soldi, droga e sesso facile. Dobbiamo tappare loro occhi e orecchie? O più semplicemente spiegare perché è un messaggio schifoso?

I guerrieri della notte, film violentissimo degli anni ’70, allo stesso tempo capolavoro assoluto, è la trasposizione in chiave moderna dall’Anabasi di Senofonte, tradotto dall’autore in un contesto di guerra tra bande giovanili rivali. Se non lo si legge con questa chiave, se non si capisce il messaggio di fondo, la lotta alla sopravvivenza di un gruppo ingiustamente accusato di un crimine non commesso, si vedono solo violenza e botte, non si comprende il valore dell’opera. Ci si ferma in superficie.

Squid Game racconta molto bene, estremizzandola, la società coreana di oggi, dove esiste un’enorme disparità sociale e a cosa si può arrivare (vi ricordate di Parasite, capolavoro, sempre coreano, di qualche anno fa?). Squid Game ci dice, attraverso il personaggio stesso del creatore del gioco, che “ciò che accomuna le persone senza soldi e quelle con troppi soldi è che la loro vita non è felice”. Analisi spietata, lucida, feroce, del capitalismo più estremo. Ma ci sta dicendo qualcosa, ce lo sta sbattendo in faccia in maniera violenta. Chiudere gli occhi (per noi e per i nostri figli), non è mai la scelta giusta.

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