Quanto davvero sono ‘green’ le biomasse?

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A CHE PUNTO SIAMO

Sono decenni che se ne parla, se ne parlava già ai miei tempi di ingegneria nei primi anni del 1970. Ma stiamo ancora al palo. Ora dopo 50 anni a che punto siamo?

Diciamo che a quei tempi i giacimenti di energia fossile era stracolmi, la economia cominciava a tirare, bisognava avere energia in gran quantità, e soprattutto non c’era inquinamento. Insomma il probelma non esisteva o quanto meno non c’erano allarmismi sulle emissioni di CO2 nell’atmosfera.

Ora ci accorgiamo del ritardo e corriamo ai ripari. Bisogna eliminare i combustibili fossili a favore delle energia alternative rinnovabile e soprattutto green. Partono così proposte e incentivi per ogni iniziativa: eolico, fotovoltaico, biomasse. Delle prime due abbiamo già parlato in “Green Deal“.

Innanzi tutto chiariamo di cosa stiamo parlando.

Tutte le biomasse in Italia coprono circa il 5% del totale del fabbisogno energetico nazionale. Diciamo poca cosa nè si prevedono progressi.
Le biomasse vengono considerate energia alternativa nata sia per soddisfare il fabbisogno elettrico che il riscaldamento. Tuttavia pone seri problemi nella gestione sostenibile delle foreste e nella scarsa efficienza energetica. Inquinamento e l’irrisolto problema dei materiali di scarto..

L’utilizzo di biomassa per la produzione di energia (sia elettrica sia termica) divide più che mettere d’accordo: per alcuni può essere una valida alternativa ai combustibili fossili, per altri non conviene né in termini di costi né in termini di emissioni di polveri sottili e di altri inquinanti atmosferici, per lo scarso potere calorifero, la bassa resa degli impianti in ragione delle masse considerate.

Un altro dei motivi che fanno storcere più il naso, quando si parla di biomasse, è che non tutti i materiali bruciati provengono dalla natura: il combustibile solido secondario, ad esempio, è di origine plastica che rientra fra le biomasse per decreto ministeriale. 

Per quanto siano considerate fonti rinnovabili rispettose dell’ambiente abbiamo di fronte una tipologia di combustibile per il riscaldamento domestico ad alta emissione di Pm 2.5, uno degli agenti inquinanti più pericolosi per i nostri polmoni.

A tal proposito, l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale) pubblicò nel 2010 un volume, dal titolo Rischi ambientali connessi all’uso di biomassa per produzione diretta di energia: valutazioni tecniche ed economiche,

BIOMASSE

Cosa sono le biomasse

  • Biomasse animali: le biomasse derivanti dall’allevamento di animali erbivori.
  • Biomasse da legname. E’ la tipologia maggiormente impiegata.
  • Biomasse liquide: questa tipologia di biomassa deriva dalla spremitura e dalla raffinazione di semi oleosi o da altre parti di piante particolari.
  • Biomasse da rifiuti urbani

Differenza tra biomasse e rifiuti

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Sia le biomasse che i rifiuti consentono di generare energia elettrica tramite il calore prodotto dalla combustione. In entrambi i casi si converte l’energia termica in energia meccanica con una turbina per produrre elettricità, oppure si sfrutta il calore.

Tuttavia, prima della conversione in energia, le biomasse devono subire dei processi di combustione: di qui i dubbi legati alla portata ‘green’ di queste fonti di energia.

Le biomasse comprendono:

  • legna da ardere
  • ramaglie e residui di attività agricole e forestali
  • scarti delle industrie alimentari
  • carcasse degli animali
  • rifiuti organici urbani (immondizia)
  • liquidi reflui derivanti dagli allevamenti (gli escrementi degli animali per essere chiari)
  • alghe marine

Cosa distingue le biomasse dai rifiuti?

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Le biomasse si distinguono dai rifiuti solidi urbani perché hanno caratteristiche chimiche più delimitate. Sono prevalentemente materie prime naturali di natura vegetale e ecocompatibile. Nei rifiuti solidi urbani, invece, sono presenti materiali di ogni tipo, organici e inorganici, che potrebbero avere un elevato impatto sull’ecosistema.

LEGNA DA ARDERE

La bufala verde della emissione zero di CO2 della legna

Se l’idea prominente è quella di ridurre fino ad azzerare la presenza di anidride carbonica nella atmosfera allora ricavare energia dalla legna, dal ramaglie, dagli sfalci, non è la direzione giusta.
I camini chiusi o con inserto emettono 2.401 tonnellate di polveri sottili all’anno. Le stufe tradizionali a legna producono 2.651 tonnellate di PM10 all’anno. Il gasolio produce 62 tonnellate di emissioni l’anno, mentre il GPL 1,2 tonnellate sempre su base annua.

Nella combustione vengono emessi composti organici volatilidiossine, metalli pesanti e particolato ultrasottile (nanopolveri). Sono sostanze contenute nel legno e sono la fonte di maggiori pericoli per gli esseri viventi, in quanto talmente piccoli da legarsi alle molecole, generando forme tumorali.

Inoltre  è stato dimostrato che le giovani foreste rimpiazzate alla deforestazione per ricavare legna per generare energia non sono in grado di sequestrare la stessa quantità di anidride carbonica delle precedenti generazioni di alberi, specie se, per esigenze industriali, le piante vengono abbattute prima che siano completamente cresciute.

L’uso del legname per ricavare energia non fa ltro che aggravare il bilancio globale delle emissioni di CO2

Dal punto di vista energetico, inoltre, il legname è assai meno efficiente del carbone: il suo potere calorifico (che è un indicatore di quanta energia può fornire per ogni chilo di peso) è circa la metà del carbone. Per ottenere la stessa resa occorre quindi bruciarne molto di più. Generalmente occorrono sui 12-15 quintali l’anno giusto per tirare su qualche mezzo grado in più rispetto ai termosifoni. Inoltre  per riscaldare un’abitazione di 100 mq sono necessari 10-20 Kg di legna che oltre al coso bisogna tener conto dello stoccaggio.

Per far capire di cosa parliamo, faccio un esempio.
Nel caso della combustione della legna per ogni atomo di idrogeno sono presenti dieci atomi di carbonio (rapporto 10:1). Il carbone ha invece due atomi di carbonio per ogni atomo di idrogeno (rapporto 2:1). Il petrolio ha un rapporto carbonio-idrogeno pari a 1:2, ossia per ogni atomo di carbonio esistono due atomi di idrogeno, mentre quello del gas naturale è pari a 1:4 ed è il più basso tra le fonti d’energia fossile.
E’ evidente che bruciare legna non si fa altro che immettere nell’atmosfera CO2 più del carbone, il petrolio e del gas, oltre le altrettanto pericolose e inquinanti polveri sottili.

Ve lo immaginate ora se è realistico che i condomini di un palazzo debbano sostituire le classiche caldaie a gas per caldaie a legna. Approvvigionarsi della legna per proprio conto, trasportarli per le scale o ascensori per poi stoccarle in un locale appropriato?

Perché, allora, si continua a tenerla in funzione? Per gli incentivi economici pubblici! 
Quella voce che trovate nella bolletta della luce che va sotto il nome di “Oneri di sistema” sono per l’appunto i soldi di noi consumatori, che anche a consumo zero di energia, paghiamo alle società fornitrice di energia per le ricerche sulle energia alternative. Sì, avete capito, siamo noi e non le Azienda a metterci i soldi per le ricerche. Nè c’è trasparenza dell’effettivo utilizzo di quei soldi.

Nel 2016, anno di entrata in funzione della centrale – dopo una vertenza durata quindici anni – la centrale ha fruttato ad ENEL 49 milioni di euro (come dichiarato dallo stesso Amministratore Delegato dell’Azienda elettrica), di cui solo 10 milioni di euro da produzione di energia elettrica e 39 milioni di euro (!) da incentivi pubblici.

A questo va detto che l’Enel ha costruito un impianto nel cuore del Parco Nazionale del Pollino, la più grande area “protetta” d’Italia, che è anche una Zona di Protezione Speciale (ZPS) dell’Unione Europea (UE) dalla potenza di  potenza (41 MWe), ma di scarso rendimento (25% circa) che brucia 350.000 tonnellate l’anno di biomasse da legno vergine, trasportate da oltre 100 camion che ogni giorno all’interno del Parco. Senza che nessuno natiralista protestasse.

Lo sfruttamento intensivo delle foreste per una produzione di una energia sostenibile sarebe devastante per l’equilibrio della natura, nel momento in cui solleviamo dubbi sulla deforestazione per la produzione di soia, alimenti bio.

Abbandoniamo questa follia e lasciamo in pace le foreste.

BIOGAS DA RIFIUTI ALIMNETARI E URBANI

In estrema sintesi.

La definizione include una vastissima gamma di materiali, vergini o residuali di lavorazioni agricole e industriali, che si possono presentare in diversi stati fisici, con un ampio spettro di poteri calorifici. In funzione della tipologia di biomassa e quindi della tecnologia più appropriata per la relativa valorizzazione energetica.
Pertanto, per generare energia termica ed elettricità dalle biomasse e dai rifiuti sono necessari processi e tecnologie differenti.

I rifiuti sono prodotti di scarto, giunti alla fine del loro ciclo di vita, destinati comunque all’incenerimento o allo stoccaggio in discarica. La raccolta differenziata consente di distinguere gli scarti riciclabili ( vetro, metallo, carta, ecc. ) e gli scarti organici dalla spazzatura in generale.

Quindi, l’incenerimento dei rifiuti richiede molte altre fasi di selezione e lavorazione per ridurre il carico inquinante del combustibile.
Alla fine del processo di trattamento, soltanto una parte dei rifiuti potrà essere incenerita. La parte restante, invece, dovrà essere trattata in modo diverso e, a seconda delle proprietà chimiche, stoccata nelle discariche speciali o generali.

Nel grafico è riassunto l’utilizzo dei rifiuti in Italia. Come si può vedere solo una piccola percentuale di biomassa sarà utilizzata per produrre energia,

La resa

Un impianto di termovalorizzazione di rifiuti urbani richiede l’impiego essenzialmente di energia elettrica per il funzionamento delle sue apparecchiature principali, ausiliarie ed accessorie.

Una volta selezionata la parte dei rifiuti che può essere incenerita, il combustibile viene inviato ai termovalorizzatori dove avviene l’incenerimento finale. Il calore prodotto dalla combustione è sfruttato per generare l’energia elettrica.
Dalla fermentazione di prodotti e rifiuti organici in discariche o in appositi impianti di digestione sia in presenza che in assenza di ossigeno, si possono ottenere delle miscele di gas contenenti per la maggior parte metano che può essere sfruttato sia per essere immesso nella rete che per la produzione di energia.

Il biogas ha un buon potere calorifico dato l’elevato contenuto in metano, per cui si presta ad una valorizzazione energetica per combustione diretta, gassificazione, carbonizzazione, attuata in caldaia per sola produzione di calore, o in motori accoppiati a generatori per la produzione di sola elettricità o per la cogenerazione di elettricità e calore.

Le biomasse si segnalano per un alto tasso di umidità residua (dal 30 al 50% in peso), che comporta la necessità di trattamenti preliminari di essiccazione e densificazione prima dell’avvio a processi di combustione, pirolisi, o gassificazione.
Questo forte divario sulla quantità di calorie generabili per unità di peso (e di volume), rispetto ai tradizionali combustibili fossili, si riflette in modo negativo se si operano confronti a parità di calorie prodotte.

La combustione diretta della biomassa, in forni appositi, ne comporta una ossidazione totale ad alta temperatura.
Gassificazione, pirolisi e carbonizzazione sono processi che comportano invece una ossidazione parziale della biomassa, in modo da ottenere sottoprodotti solidi, liquidi e gassosi, più puri rispetto alla fonte di partenza, che possono poi essere combusti completamente in un passaggio successivo.

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Il grafico a lato mostra la differenza tra il biogas teoricamente producibile e il biogas effettivamente captabile, e la durata di un impianto.

La produzione di biogas da discarica ha un caratteristico andamento a campana che dipende alla quantità di rifiuti depositati in discarica annualmente. Il ciclo di vita con dimensioni medie è intorno a 30 anni, un impianto ha vita media intorno a 20.

Qualsiasi combustione genera materiali di scarto, CO2, H2, N2, H2O.

In Italia la termovalorizzazione di rifiuti segna il passo rispetto ai Paesi del Centro-Nord Europa.
Al 31.12.2010, secondo l’ultima indagine condotta da ENEA e Federambiente, la capacità complessiva di trattamento è pari 21.693 t/g, la potenza elettrica installata è 782 MW. La capacità media di trattamento risulta di poco superiore alle 400 t/g, corrispondenti a circa 135.000 t/a.
Le considerazioni e i dati di seguito riportati sono riferiti principalmente al caso dei rifiuti urbani, per i quali il ricorso all’incenerimento è molto più sviluppato che per gli speciali.
Occorre inoltre ricordare che negli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani vengono attualmente trattati quantitativi significativi di rifiuti speciali (inclusi i pericolosi), mediamente dell’ordine del 15-20 % del totale trattato.

In aggiunta per rendere realmente utile alla produzione di energia pulita una centrale a biomasse, il legislatore, oltre a concedere incentivi, per gli alti costi degli impianti e di produzione, dovrebbe anche chiarire cosa ci possa finire dentro. Perché norme troppo vaghe sono altamente pericolose per la comunità, visto che, come detto, lì dentro ci finirebbero pure materiali che di bio non hanno proprio niente.

Utilizzare le biomasse dei rifiuti alimentari e urbani per generare elettricità e riscaldamento è vantaggioso solo per scopi ambientali. Diciamo che il reale vantaggio risiede nello smaltimento dei rifiuti e sfruttare al massimo il recupero di energia.


BIOMASSE DA CARCASSE DI ANIMALI, LIQUAME REFLUI DERIVANTI DAGLI ALLEVAMENTI

Cadono in questa categoria di biomasse:

• Gli effluenti dagli allevamenti bovini e bufalini,
• Gli effluenti dagli allevamenti suinicoli,
• Gli scarti di macellazione di bovini, suini e ovicaprini,
• La frazione organica dei rifiuti urbani,
• I fanghi derivanti dagli impianti di depurazione delle acque reflue.

Le problematiche

  • Determinare la produzione di ciascuna azienda zootecnica di deiezioni su base giornaliera, e quindi la producibilità di biogas nel caso in cui si voglia realizzare un impianto di DA, sono molteplici.
  • E’ necessario conoscere il numero di capi, il peso vivo, l’indirizzo produttivo (latte/carne/misto), la tecnica di tabulazione,
  • Il resoconto del numero delle carcasse da rimuovere, i sistemi di rimozione e stoccaggio delle deiezioni,
  • Necessità di un data base aziendale.
  • L’elevato contenuto di umidità rende necessaria una preventiva fase di essiccamento molto energivora per poter avviare a combustione tali scarti e sottoprodotti.
  • Il trasporto alle centrali.

Siamo praticamente fermi a 50 anni fa. Molti progetti, molte buone intenzioni. Ne riparliamo fra un ventina d’anni.



BIOENERGIA DALLE ALGHE

Enea: il futuro è nella bioenergia, nelle alghe. Affermazione alquanto ottimista.

Teoricamente le alghe presentano svariati vantaggi: proliferano a latitudini e in climi diversi; nel ciclo vitale rilasciano ossigeno, come qualsiasi pianta; hanno una crescita rapida.
La coltivazione di microalghe – in acqua salata o dolce, a seconda delle specie – può avvenire in vasche aperte non contaminate da agenti esterni ed esposte alla luce del sole o in impianti chiusi illuminati artificialmente a led.

In Italia, Eni dopo una sperimentazione effettuata nella sede di Ragusa, ha realizzato a Novara un impianto pilota. Tuttavia pur consultando il sito ufficiale dell’Eni non ho trovato un solo dato riguardarne di quanta energia può fornire un chilogrammo di alghe, quanto devono esser grandi le vasche per produsse per esempio un giga watt.

Per ora parliamo di aria fritta e soldi pubblici gettati al vento.

CONCLUSIONE

Biomasse da:

Legna, ramaglie, sfalci: Emissione di CO2 più elevata del carbone. Vengono emessi composti organici volatili, diossine, metalli pesanti e particolato ultrasottile (nanopolveri) che generano tumori.

Rifiuti alimentari e urbani. Processi di lavorazione complessi, costosi. Confusa politica di smaltimento dei prodotti di scarto. Scarsa percentuale di utilizzo dei rifiuti. Immissione di materiali inquinanti nell’atmosfera (CO2, H2, N2,). Bassi livelli di resa.

Carcasse animali, liquami reflui degli allevamenti: se ne parla a sproposito, ma nulla di serio e fattibile in termini concreti nel ricavare energia.

Alghe. solo soldi spesi inutilmente in ricerche per un progetto di nessuna efficacia.

Tutte le biomasse in Italia coprono circa il 5% del totale del fabbisogno energetico nazionale.

Siete proprio convinti del futuro delle biomasse come fonte alternativa al fossili e di riduzione dell’anidride carbonica nell’atmosfera?

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