La prima indagine sulle donne con HIV nelle carceri italiane

La donna fa rete, ma per lei la rete non c’è”. Parole di Elena Rastrelli, dirigente infettivologa di Medicina Protetta – Malattie Infettive dell’Ospedale Belcolle di Viterbo e responsabile di RoSe-HIV. Avviato nel 2016, Rete dOnne SimspE (RoSe, appunto) è un network genere-specifico, fondamentale per la promozione della salute delle donne detenute . “Le donne tendono a essere il fulcro delle loro famiglie e comunità, spesso mettendo le esigenze degli altri prima delle proprie. Specialmente chi proviene da ambienti marginalizzati, trova scarse risorse di supporto per la sua salute e il suo benessere personale. Per questo per le donne ci vuole una rete a maglie più fitte. È cruciale riconoscere e affrontare questa dinamica per garantire che le loro esigenze sanitarie ricevano l’attenzione e la cura di cui hanno bisogno”.

Il carcere è a misura di uomo

Le 2.392 donne detenute negli istituti penitenziari italiani al 31 gennaio 2023 rappresentano circa il 4% della popolazione carceraria totale. Le strutture carcerarie, gli spazi, le attività disponibili e i percorsi di rieducazione sono per questo a misura di uomo, non di donna. Solo 599 detenute risiedono in strutture esclusivamente femminili, mentre le altre sono distribuite in 44 sezioni all’interno di carceri maschili. Sono divise in così tante strutture che l’organizzazione di attività significative è ardua, nonostante la riforma dell’ordinamento penitenziario del 2018 preveda che le donne debbano essere ospitate in sezioni a loro dedicate in numero sufficiente a non compromettere le attività trattamentali.

Il tasso di affollamento ufficiale nelle carceri femminili è del 112,3%, superiore alla media generale del sistema penitenziario italiano. Quindi le donne subiscono le conseguenze del sovraffollamento carcerario più degli uomini, trovandosi spesso in condizioni di isolamento o di eccessiva promiscuità. Questo si riflette in dati allarmanti sulla loro salute: tra la popolazione femminile detenuta si registra un’incidenza significativamente più alta di HIV, HCV e altre infezioni trasmissibili per via ematica o sessuale. Maggiori sono anche i problemi di salute mentale, stress post-traumatico e abuso di sostanze, più alti i tassi di autolesionismo e suicidio.

Il Progetto RoSe-HIV

Il progetto Rete Donne SIMSPe ha esaminato dati raccolti in 21 istituti penitenziari distribuiti in 12 regioni italiane. Lo studio ha coinvolto 85 donne sieropositive all’HIV, con un’età media di 42 anni. Quasi la metà di queste donne ha contratto il virus attraverso rapporti sessuali, mentre il 63% si trova in terapia sostitutiva con oppioidi. L’epatite C emerge come la co-infezione più frequente, interessando quasi il 45% del campione.

Alta l’adesione delle partecipanti alla terapia antiretrovirale: ben il 90% di loro segue con dedizione il proprio trattamento. Questa costanza è di vitale importanza, poiché ha permesso a circa l’83,5% delle donne di raggiungere un livello di soppressione virale: un traguardo significativo che contribuisce a ridurre drasticamente la presenza del virus nel corpo e, conseguentemente, a diminuire notevolmente il rischio di trasmissione.

HIV: le conseguenze della diagnosi tardiva

Tra le donne che non hanno raggiunto una completa soppressione virale, numerose sono quelle che non avevano beneficiato di un trattamento regolare e continuativo contro l’HIV prima di essere incarcerate. Più della metà di loro non era a conoscenza della propria sieropositività prima dell’ingresso in carcere. Questo dato non solo evidenzia le difficoltà legate alla diagnosi e all’accesso alle cure al di fuori dell’ambiente carcerario, ma rivela anche come l’inconsapevolezza del proprio stato sierologico possa impattare negativamente sull’efficacia del trattamento. Una diagnosi tardiva, infatti, può complicare significativamente la cura dell’HIV.

“Devono affrontare un doppio stigma,” spiega Rastrelli. “Le donne con infezione da HIV subiscono sia lo stigma dell’infezione, che ancora è presente nella nostra società, che quello della detenzione. Inoltre hanno spesso storie di violenza, che influenzano significativamente il loro stato di salute e benessere psicologico. Questo richiede un approccio di rete nella cura e nel supporto, in particolare quando queste donne lasciano il carcere”.

Il carcere come opportunità

Il Progetto RoSe-HIV rappresenta un passo fondamentale verso una migliore comprensione e cura delle donne detenute con HIV. La detenzione può diventare un’opportunità unica per fornire e utilizzare servizi sanitari. La creazione di una rete genere-specifica rappresenta una strategia efficace per raggiungere e supportare questa popolazione. Secondo gli autori dello studio, sfruttando questo periodo critico per intervenire positivamente sulla loro salute e benessere, si può fare una significativa differenza nella vita di queste donne, promuovendo non solo la loro salute fisica ma anche il loro reinserimento sociale e sviluppo personale.

Credits immagine: Ye Jinghan su Unsplash

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