La posizione del feto, con l’avvicinarsi della dpp (la data presunta del parto), è determinante al fine di prendere una decisione molto importante: che tipo di fase espulsiva dovrà affrontare la mamma.
Come sappiamo, durante i nove mesi, il feto subirà uno sviluppo graduale, con tappe predefinite in base al tempo di gestazione. La sua crescita, in termini di misure e di peso, viene percepita dalla futura mamma anche attraverso i famosi calcetti, anticipati da una sorta di sfarfallio, come vengono chiamati i primissimi spostamenti del feto che la donna potrebbe percepire, e che alcune raccontano anche come una sorta di bollicine nella pancia.
Insomma, il feto ha una vita piuttosto intesa durante quei nove mesi, la sua esistenza uterina è funzionale alla preparazione di quella extrauterina. All’inizio, avrà molto spazio a disposizione ed i suoi movimenti, alle volte immortalati durante le nostre ecografie di controllo, godono di una certa libertà. Con il passare del tempo, invece, lo spazio a disposizione del feto sarà sempre meno, a causa delle misure di quest’ultimo. Per questo, possiamo comprendere quanto sia importante che, tra i suoi ultimi spostamenti, vi sia quello di prepararsi alla fase finale, mettendosi in quella che possiamo chiamare la posizione corretta per il parto.
Posizione cefalica e podalica: i rischi
La posizione corretta per poter affrontare serenamente un parto vaginale è quella che viene chiamata cefalica. La posizione corretta per il feto è quindi quando questi si trovi con la testa in giù. Grazie alle ecografie di controllo, è possibile verificare quale sia la posizione assunta dal feto. Non c’è da preoccuparsi se la sua testolina non sia rivola verso il basso (posizione podalica), purché non sia oltrepassata la 30° settimana.
Ci spiega meglio quali siano i rischi in caso di feto in posizione podalica, il dottor Antonio Simone Laganà, ginecologo.
“In caso di presentazione podalica del feto, non è indicato effettuare un parto vaginale ma va programmato un taglio cesareo elettivo. I rischi collegati ad un parto podalico sono: intrappolamento della testa con conseguente pericolo di asfissia; trauma cranico e lesioni ai nervi; prolasso del cordone ombelicale che potrebbe subire una compressione nel canale del parto impedendo il passaggio dell’ossigeno e causando quindi ipossia con possibili danni neurologici come paralisi cerebrali o morte per sofferenza fetale; avvolgimento del cordone ombelicale intorno al collo; e inoltre potenziale displasia dell’anca per fenomeni compressivi”.
Quando il feto si mette in posizione
Abbiamo detto che se il bambino si trovi in posizione podalica bisognerà programmare un parto cesareo, per evitare che possano insorgere complicazioni e rischi di cui in alto. Ma questa decisione si prende con calma, nel momento in cui il feto si è messo in posizione e non è più un grado di spostarsi a causa delle sue dimensioni.
“Il feto raggiunge la posizione cefalica in genere entro le 32 settimane di gestazione. Dopo la trentaduesima settimana e man mano che ci si avvicina alla nascita, diventa sempre più difficile che il feto riesca ad assumere la posizione cefalica, a causa dello spazio in cui può muoversi che diventa sempre più limitato”.
Come far mettere il feto in posizione corretta
Premesso, quindi, che la posizione corretta per un parto vaginale sia quella cefalica, di fronte ad un feto in posizione podalica, prima di arrendersi all’idea che questa sia definitiva, vengono esperiti dei tentativi.
Ecco quello che ci racconta il dottor Laganà, su quali siano i modi utilizzati per far cambiare posizione al bambino nel pancione.
“Tra la 36esima e la 37esima settimana di gestazione, se le condizioni della gravidanza lo consentono, è possibile tentare il rivolgimento per manovre esterne, effettuato da un ginecologo esperto in ambiente ospedaliero. Questa manovra viene effettuata sotto continuo controllo ecografico, attraverso delle delicate pressioni sull’addome della futura mamma per far sì che il nascituro riesca ad assumere la presentazione cefalica. Se tale manovra non avrà successo, verrà programmato il cesareo.
Alcune tecniche che potrebbero essere adottate ancor prima di arrivare alla 36esima settimana per favorire la rotazione spontanea del feto sono la moxibustione e l’agopuntura, sempre da valutare con il proprio ginecologo, sebbene le evidenze degli studi clinici non siano completamente concordi sulla loro efficacia”.
La moxibustione per bimbo podalico, come ha chiarito il ginecologo, è una tecnica di cui non si hanno dati scientifici che possano comprovarne l’efficacia, ma ad ogni modo non ha alcuna controindicazione. Essa consiste nell’accendere delle foglie di artemisia essiccate in prossimità del piede della donna, ovviamente ad una distanza tale da evitare scottature. Il punto del piede in prossimità del quale varrà riscaldata la foglia corrisponderebbe ad un altro dell’utero, che quindi sarebbe in grado di stimolare il bambino a muoversi.
Posizione podalica: parti in casa e parti cesarei
Come sappiamo, per quanto non venga da tutti e tutte gli specialisti sostenuto, il parto a domicilio, purché in presenza di una serie di requisiti, è assolutamente legale in Italia.
Il programma concordato dalla futura mamma e dal personale ostetrico deve avere come punto finale un parto vaginale. Per tanto non è consentito alle donne partorire in casa qualora il piccolo/a sia in posizione podalica, proprio per i rischi ai quali il piccolo sarebbe esposto. La prassi in questi casi, come ribadito in alto, è far nascere il bambino/a attraverso un parto cesareo. Va precisato che, benché siano chiari le motivazioni di un parto cesareo, di fronte ad un bambino in posizione podalica, in Italia, l’accesso al parto cesareo presenta numeri sempre più in aumento e non sempre giustificati.
Secondo l’ Istituto Superiore della Sanità, negli ultimi anni, il numero dei cesarei è aumentato, passando dal 11,2% nel 1980 al 33,2% nel 2000. Aumento che ci vede in cima tra i Paesi Europei, oltrepassando del 10-15% quanto raccomandato dall’Oms sul parto cesareo. Dagli studi fatti per comprendere i contesti nei quali si accede ad un taglio cesareo, risultano essere individuabili l’età sempre più avanzata della gestante; l’essere seguite da strutture private; il non aver preso parte ad un corso preparto e altri ancora. Gli studi fatti su questo massiccio aumento di accesso al taglio cesareo hanno rilevato che esso non è sempre legato a fattori di rischi ma piuttosto alla disponibilità delle strutture e del personale.
Fonti Bibliografiche: