La recente segnalazione, in Svezia, del primo caso di infezione registrato al di fuori del continente africano e sostenuto dal clade Ib del virus del vaiolo delle scimmie (Monkeypox virus, MPXV) ha destato un notevole clamore, ulteriormente accresciuto dell’accertamento di un secondo caso di infezione in Thailandia.
Bambini più a rischio
Questo ceppo virale potrebbe essersi evoluto centinaia di anni fa dal clade I (Ia) di MPXV, con il quale è imparentato. Sarebbe emerso nella Repubblica Democratica del Congo, dove sono stati già segnalati almeno 18.000 casi con oltre 600 decessi, soprattutto fra i bambini, per poi diffondersi rapidamente ai paesi limitrofi come Kenya, Uganda, Ruanda e Burundi. Si tratta, nello specifico, di un ceppo virale ben più patogeno e virulento rispetto al clade II di MPXV, precedentemente emerso in Africa occidentale e responsabile di un’epidemia già dichiarata nel luglio 2022 dall’OMS “emergenza internazionale di sanità pubblica”, che a suo tempo aveva coinvolto quasi 100.000 individui in 116 paesi, con circa 200 casi di malattia ad esito fatale. A differenza di quest’ultimo, il clade Ia di MPXV colpirebbe in misura rilevante la popolazione in età pediatrica, al cui interno si registrerebbe un indice di letalità pari al 10% (rispetto all’1% del clade II, comunque più diffusivo e contagioso rispetto al clade Ib). Le modalità di trasmissione sono sia per via sessuale (omo- ed etero) sia per contatto diretto con la cute e/o le mucose di individui infetti.
Un nuovo ceppo di virus
Le caratteristiche di questo nuovo ceppo di vaiolo delle scimmie sono ormai di pubblico dominio grazie all’opera di informazione dei mezzi di comunicazione. E tuttavia lo stesso non può dirsi della sua straordinaria resistenza ambientale, tipica dei Poxviridae, famiglia di cui fa parte. Infatti, come ho già avuto modo di richiamare in una lettera all’Editore su “Veterinary Record”, l’elevata resistenza di tali DNA-virus nei confronti dell’inattivazione chimico-fisica li renderebbe pienamente capaci di persistere al di fuori dei propri ospiti e per lunghi periodi di tempo nell’ambiente esterno. Ciò potrebbe giustificare il trasferimento di MPXV anche a notevole distanza, per esempio attraverso gli aerosol originatisi dalla terraferma o dagli ambienti marini, a causa di fenomeni meteo-climatici estremi come trombe d’aria, uragani e tempeste.
L’approccio One Health
Sarebbe importante quindi che, per rintracciare l’origine dei vari focolai di malattia, si prendessero in considerazione anche queste caratteristiche eco-epidemiologiche del virus, soprattutto nei casi in cui dovesse risultare particolarmente difficile individuare le vie/modalità di acquisizione/trasmissione dell’infezione. Anche in questo caso, dunque, è importante adottare un approccio di “One Health” – la salute unica di esseri umani, animali e ambiente – per gestire, prevenire e contrastare efficacemente la comparsa di nuovi focolai di malattia, facendo tesoro delle lezioni apprese durante la pandemia da Covid-19.
Giovanni Di Guardo, DVM, Dipl. ECVP, Già Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo
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