Un chip contro l’acufene? Cosa c’è di vero nell’annuncio di Elon Musk

Neuralink, l’azienda statunitense il cui obiettivo è collegare cervello e computer tramite un chip, fondata (insieme ad altri) da Elon Musk, torna a far parlare di sé dopo le accuse di violazione delle norme in materia di sperimentazione animale. Stavolta la notizia è di tutt’altro tenore, ed è lo stesso Musk ad averla annunciata, rispondendo a una domanda su Twitter sul trattamento dell’acufene, un disturbo che si manifesta con la percezione di costanti fruscii, ronzii o scampanellii anche in assenza di rumori esterni, e per la quale al momento non esiste alcuna terapia definitiva. Stando alle dichiarazioni di Musk, il chip di Neuralink potrebbe arrivare, “entro meno di cinque anni”, alla soluzione del problema. 

Molto interessante, ma quanto c’è di vero, o plausibile, dietro un annuncio di questo tenore?

La nascita di Neuralink

Facciamo un passo indietro e torniamo al 2017, quando Musk, fondando Neuralink, affermò che entro quattro o cinque anni sarebbe riuscito a mettere a punto un’interfaccia parziale tra cervello e computer. All’epoca, l’obiettivo dell’azienda era, in un primo momento, quello di potenziare le abilità del cervello umano, per poi passare a sviluppare interfacce in grado di alleviare i sintomi di alcune patologie croniche del cervello (epilessia, Parkinson, etc.). Il dispositivo messo a punto dall’azienda è un chip delle dimensioni di una moneta, chiamato Link, che viene impiantato a filo del cranio da un robot chirurgico, e collegato tramite un migliaio di fili (delle dimensioni di un quarto di capello umano) a determinati gruppi di neuroni; la comunicazione con un computer esterno, invece, avviene tramite bluetooth.


Neuralink, cosa farà la misteriosa startup di Elon Musk


Elettrodi sottilissimi e chirurghi robot

Nel 2019, Musk e i tecnici di Neuralink presentarono i primi prototipi sperimentati su animali di laboratorio (ratti e una scimmia) con l’obiettivo dichiarato di passare all’essere umano l’anno successivo. Gli elettrodi mostrati dagli scienziati apparvero subito molto interessanti, soprattutto per la loro sottigliezza (4-6 micrometri, equivalenti, per l’appunto, a un quarto del diametro di un capello), e per la loro flessibilità, che avrebbe scongiurato l’uso di aghi rigidi nel cervello che avrebbero potuto causare danni nel lungo periodo (dal momento che, come spiegarono gli esperti, “il cervello nel cranio si muove, mentre gli elettrodi no”). Questa flessibilità, comunque, rende l’inserimento degli elettrodi nel cervello più complicato; per questo la società annunciò anche la creazione di“un robot neurochirurgico in grado di inserire sei fili (pari a 192 elettrodi) al minuto”: un sofisticato apparecchio in grado di impiantare i fili evitando di danneggiare i vasi sanguigni, così da ridurre la risposta infiammatoria del cervello.

2019: tocca a Gertrude

Il passo successivo ha visto l’arrivo in scena di Gertrude, un maiale che, in una diretta streaming dell’agosto 2019, dimostrò il livello di sviluppo dell’interfaccia neuroelettronica di Neuralink. Sostanzialmente, nella diretta si vedeva il maiale azionare il suo principale e più sviluppato organo sensoriale, il muso, mentre le immagini mostrate su uno schermo e i suoni diffusi da un sistema audio ne svelavano in tempo reale l’attività cerebrale, dando una suggestione di quanto variasse la sua intensità a seconda di quale punto odorasse e di quel che facesse.

Una sorta di “fitbit nel cranio”, come ebbe a dire lo stesso Musk, ossia un sistema che registra una serie di informazioni associate all’attività cerebrale che, a loro volta, possono fornire alcune indicazioni di massima su ciò che accade all’interno del cervello. 

Pong!

Nel 2021, l’azienda diffuse un altro video che mostrava un macaco di nove anni, Pager, impegnato a giocare una partita di Pong usando, anziché joystick o tastiera, semplicemente il suo cervello, nel quale, ovviamente, era stato impiantato un Link. 

Prima dell’impianto, a Pager era stato insegnato a giocare a Pong usando un joystick, premiandolo con un sorso di frappè alla banana ogni volta che faceva la mossa corretta; contemporaneamente, ne veniva registrata l’attività cerebrale, in modo da identificare quali gruppi di neuroni controllassero i movimenti del joystick e della racchetta di Pong e da associarli, successivamente, all’attività monitorata dal Link.

Una cura per l’acufene?

Arriviamo, così, al presente. In cui, come abbiamo visto, Musk ha dichiarato che entro il 2027 Neuralink sarà in grado di curare l’acufene. Al netto del solito entusiasmo mediatico di Musk, effettivamente la cosa potrebbe essere plausibile: “Gli impianti neurali – spiega su The Conversation David Tuffley, professore di etica associata e cybersicurezza alla Griffith University – aiutano le persone che soffrivano di disturbi dell’udito fin dall’inizio degli anni sessanta, quando fu inserito il primo impianto cocleare. Da allora, la medicina ha fatto grandi progressi in questo senso. La comunità dei neuroscienziati, nel complesso, è abbastanza ottimista sul potenziale di Neuralink per il trattamento dell’acufene; inoltre potrebbe anche essere utile per trattare i disturbi ossessivi-compulsivi, guarire i traumi cerebrali e curare condizioni come l’autismo o i  disturbi degenerativi del sistema nervoso”. D’altronde, al momento è troppo presto per andare oltre il cauto ottimismo, visto che Neuralink (né Musk) non ha fornito ulteriori dettagli su come il dispositivo potrebbe effettivamente trattare l’acufene. Certamente ci vorrà del tempo: “La Fda ha inserito Neuralink tra i dispositivi medici di classe III, quelli più rischiosi. Prima che possano iniziare dei trial clinici sugli esseri umani, l’azienda dovrà superare tutti i controlli clinici dell’ente regolatorio – prosegue Tuffley. “Per essere approvata, l’azienda dovrà fornire dati esaustivi da trial clinici su soggetti non umani (come la scimmia Pager) che giustifichino l’avvio della fase successiva. C’è anche da dire che alcune scimmie sono morte durante i test di Neuralink, e che ci sono state diverse critiche sul benessere animale. Capire quanto tempo servirà per questo processo è tutt’altro che semplice: potrebbero volerci anni, e il tutto potrebbe avere un costo tale da essere accessibile solo alle persone più ricche. Quindi, la cosa più saggia è di non nutrire false speranze su un impianto economico che curi l’acufene nel breve termine”.

Via: Wired.it

Credits immagine: Hayes Potter on Unsplash

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