Tamponi molecolari, come interpretare i risultati del test

di Enrico Orfano

Non solo i test sono di per sé soggetti ad errori (alcuni più di altri) ma anche le persone commettono errori nell’interpretare i risultati dei tamponi molecolari usati per diagnosticare la Covid-19. Non senza rischi: una lettura troppo ottimistica le spinge a comportamenti poco attenti. Quindi non basta l’esito: occorre aggiungere anche informazioni su come comportarsi nella vita quotidiana. Questi i risultati di uno studio pubblicato sul British Medical Journal Open condotto da Katya Tentori e Stefania Pighin del Cimec, Centro Mente/Cervello dell’Università di Trento.

Cosa dice il test

Scopo dello studio è stato quello di capire in che modo le persone interpretano i risultati del tampone nasofaringeo a cui si sono sottoposte. Ma ancor prima di capire il contesto all’interno del quale effettuano il test, per esempio cercando di sondare se il valore diagnostico e la sua accuratezza fossero ben chiari o la percezione della prevalenza locale del coronavirus. Per farlo, le ricercatrici hanno coinvolto attrraverso un esperimento condotto online 566 persone, distribuite sul territorio nazionale, residenti dall’Alto Adige alla Sicilia bilanciate per genere e livello di istruzione.

Come viene interpretato il tampone

Secondo i dati raccolti dalle ricercatrici, le persone accettano di buon grado il test quando è negativo e non credono che il dato possa essere falso. Invece se è positivo sono spinte a credere che ci sia un errore e pensano sia utile ripeterlo, mentre invece i dati scientifici suggerirebbero il contrario. Inoltre, anche se se si è consapevoli di vivere in una zona ad alto rischio, oppure si avvertono sintomi compatibili con un’infezione da coronavirus, un esito negativo cancella tutto o quasi, donando una sensazione di tranquillità, senza tenere conto della reale possibilità di un errore. In psicologia comportamentale si parla di “bias dell’ottimismo”, vale a dire di una particolare distorsione cognitiva per cui l’essere umano finisce col risultare più ottimista che realista o razionale, una caratteristica diffusa in tutte le fasce d’età, i generi e i livelli sociali.

Lo studio è appena stato pubblicato, ma i risultati si riferiscono alla scrsa primavera, quando è stato fatt lo studio. E’ ragionevole per cui credere che qualcosa dopo tutto questo temp sia cambiato.

Ma quel che suggerisce questo lavoro è che a fronte di tanti dati provenienti dai test, c’è il rischio che manchino indicazioni sul come interpretarli e comportarsi di conseguenza, avvertono le ricercatrici. “I test di massa svolgono senza alcun dubbio un ruolo importante nella raccolta di informazioni epidemiologiche e nella gestione delle pandemie – affermano, in una nota diffusa dall’ateneo – ma non va dimenticato che hanno anche effetti a livello individuale, influenzando i comportamenti e le decisioni di chi si sottopone a tali test. Non è difficile immaginare come un fraintendimento sostanziale dei loro risultati possa avere delle conseguenze rilevanti in termini di salute pubblica e benessere dei cittadini. Ad esempio, la sistematica sottostima dei falsi negativi potrebbe portare a trascurare le precauzioni e, in caso di sviluppo successivo di sintomi, potrebbe diminuire la fiducia nei confronti delle istituzioni sanitarie. Analogamente, la confusione sull’utilità di una ripetizione a breve termine del test dopo un risultato positivo potrebbe dar luogo a un eccessivo ricorso ai test anche quando non necessario, con tutte le gravi conseguenze che questo comporterebbe sul piano organizzativo”. E non possiamo davvero permettercelo, anche dopo l’arrivo dei vaccini.

Riferimenti: BMJ Open

Credits immagine: Mufid Majnun on Unsplash

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