Svezia: aumentano i casi della misteriosa ‘sindrome del sonno profondo’ tra i giovani rifugiati

Secondo i primi studi potrebbe essere una conseguenza di traumi passati.

Non c’è ancora un termine preciso per indicare la sindrome che sta interessando un numero sempre maggiore di giovani, soprattutto rifugiati, in Svezia. Uno stato comatoso, o sonno profondo è il sintomo della sindrome che, ad oggi, ha interessato quasi 200 individui. Secondo la neurologa Suzanne O’Sullivan i giovani affetti da questa patologia cominciano ad isolarsi dall’ambiente circostante interrompendo le interazioni con gli amici e i familiari rifiutandosi di interloquire e, con il tempo, anche di alimentarsi, fino a precipitare in uno stato di sonno profondo. In molti casi le condizioni peggiorano fino a richiedere la nutrizione artificiale. Anche nei campi di concentramento nazisti venivano registrati casi di internati che cadevano in uno stato di sonno profondo senza svegliarsi, fino alla morte avvenuta per disidratazione. Negli anni Ottanta, invece, alcuni giovani rifugiati del Laos in USA trascorsero lunghi periodi in catalessia prima di morire.

Foto di Magnus Wennman

Secondo le ultime ricerche la sindrome del rifugiato potrebbe originarsi da un trauma al quale i giovani reagiscono isolandosi totalmente. Si tratta di un’ipotesi che spiegherebbe il motivo per il quale ad essere interessati sono sopratutto i figli dei rifugiati. Registrata per la prima volta in Svezia negli anni Novanta, la sindrome viene registrata soprattutto tra gli Yazidi, una minoranza irachena perseguitata ferocemente dall’ISIS. Uno degli ultimi casi riguarda una giovane yazida che ha trascorso circa un anno e mezzo in uno stato di sonno profondo fino a quando, pochi giorni fa, ha ripreso a rispondere agli stimoli esterni ricominciando a comunicare con i genitori e gli amici. Ora il tema della cosiddetta ”sindrome del rifugiato o della rassegnazione” è oggetto di studi da parte della commissione svedese per la salute e il Welfare. Sul tavolo degli esperti c’è anche la possibilità di estendere il permesso di residenza così da garantire un migliore trattamento terapeutico. Secondo gli esperti la sindrome potrebbe rappresentare una conseguenza di una serie di traumi avvenuti in età infantile, pertanto non sorprende che si registri soprattutto tra i rifugiati e i richiedenti asilo politico.

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