Sclerosi multipla, un nuovo tipo di linfociti T dietro la risposta autoimmunitaria

La sclerosi multipla è una malattia autoimmune caratterizzata da una reazione anomala delle cellule del sistema immunitario che attaccano alcuni componenti del sistema nervoso centrale scambiandoli per agenti estranei. Cosa scateni esattamente questa reazione non è chiaro. Un team di ricercatori della Thomas Jefferson University aggiunge qualcosa in più a quel che sapevamo in materia, mostrando il coinvolgimento di un sottotipo di cellule T nei meccanismi che alimentano la risposta autoimmunitaria nella sclerosi multipla. Cellule che potrebbero diventare un nuovo target contro la malattia, raccontano in uno studio su Science Immunology.

La sclerosi multipla, una malattia autoimmune

Nella sclerosi multipla il processo infiammatorio, scatenato dal sistema immunitario, può danneggiare sia la mielina (la guaina che ricopre e isola le fibre nervose) sia le cellule specializzate nella sua produzione (oligodendrociti) che le fibre nervose stesse, con la comparsa delle caratteristiche placche, la cui localizzazione ed estensione sono responsabili dei sintomi. I sintomi della malattia sono molteplici e spaziano dalle difficoltà motorie alla fatica, al dolore, ai disturbi visivi, alle alterazioni della sensibilità, ai disturbi della concentrazione e della memoria, ai problemi vescicali e intestinali, fino alla depressione. Ci sono nel mondo circa 2,5-3 milioni di persone affette da sclerosi multipla, di cui 122.000 solo in Italia. È una malattia cronica per cui al momento non esiste una cura definitiva, ma sono disponibili numerose terapie che modificano il suo andamento, rallentandone la progressione.

Un nuovo tipo di cellule T implicate nella malattia

L’ipotesi dei ricercatori della Thomas Jefferson University è che in questo processo svolgono un ruolo anche alcune cellule T particolari, le cosiddette ThGM (un sottotipo di cellule T helper), che producono un fattore stimolante le colonie di granulociti macrofagi (GM-CSF), contribuendo alla risposta autoimmune. Queste cellule infatti, spiegano, sono particolarmente abbondanti nel sangue periferico e nel cervello di pazienti con sclerosi multipla e nei modelli animali di malattia (dove inducono encefalomielite, ovvero infiammazione del cervello e del midollo spinale). Ma si ritrovano anche nella spondiloartrite e nel diabete di tipo 1, a sottolineare il loro probabile contributo nell’insorgenza dell’autoimmunità.

Nel loro studio i ricercatori hanno caratterizzato meglio questa popolazione di cellule, sia murine che umane, scoprendo le citochine prodotte, e le loro risposte ad alcune di queste citochine. E analizzandone le caratteristiche genetiche. “Abbiamo scoperto che le cellule ThGM hanno un profilo genetico distinto rispetto ad altri sottoinsiemi di cellule T”, ha spiegato Abdolmohamad Rostami, della Thomas Jefferson University, a capo del paper: “Sembra che le cellule ThGM provengano da un linea o origine distinta, e siamo quindi stati in grado di definire una serie di criteri per identificare queste cellule”.

Nuovi orizzonti terapeutici

Il team di ricercatori sta ora lavorando per caratterizzare ulteriormente le cellule ThGM negli esseri umani. Rosatmi spiega che i risultati della ricerca hanno già fornito importanti indizi su quali marcatori genetici e profilo chimico rendono unico questo sottoinsieme di cellule T, e sottolinea che questo potrebbe permettere di sviluppare terapie che mirano selettivamente a questa popolazione di cellule, lasciando intatte le altre cellule del sistema immunitario ed evitando una diffusa immunosoppressione.

Riferimenti: Science Immunology

Credits immagine: NIAID CC Via Flickr

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