Proteggere la natura conviene, anche all’economia

È innegabile l’importanza della natura sul nostro benessere, se non per tutti almeno per molti: spesso nel tempo libero scegliamo luoghi naturali per rigenerarci dallo stress quotidiano. E in tanti abbiamo apprezzato gli effetti “buoni” e insoliti del lockdown, per esempio osservando  gli animali che passeggiavano per le città isolate. Ma se da parte nostra riusciamo ad apprezzarla, si può anche stimare quanto vale la natura, in termini economici? Secondo alcuni ricercatori sì. Un team guidato dall’Università di Cambridge e dalla Royal Society for the Protection of Birds ha infatti confrontato il valore di alcuni luoghi naturali rispetto a quello che avrebbero se convertiti all’uso umano. E i risultati dello studio pubblicato su Nature Sustainability sono sorprendenti: scegliere la natura conviene. Non solo per il nostro benessere, anche economicamente. 

Come si misura il valore della natura?

I ricercatori hanno analizzato i dati di precedenti studi ricavati grazie a TESSA (Toolkit for Ecosystem Service-based Assessment), uno strumento che aiuta a dare un valore ai benefici forniti dall’ecosistema, sia in siti naturali sia in quelli ad uso umano. Non sono certamente valutazioni complete, ma sono comunque sufficienti per dare un valore agli ambienti. TESSA, infatti, aiuta a individuare per ogni sito i cosiddetti servizi ecosistemici, cioè i benefici che le persone ricevono dalla natura, ad esempio la produzione di cibo, la purificazione dell’aria o la protezione dalle inondazioni. Aumentare o diminuire questo capitale che la natura ci mette a disposizione può influire sui benefici che noi stessi possiamo trarne. Grazie a TESSA è dunque possibile confrontare il valore di ogni habitat naturale prima e dopo la conversione in attività umana, per considerare quando questo cambiamento sia effettivamente conveniente e per aiutare a compiere scelte di sviluppo più consapevoli.

Scegliere la natura conviene

I ricercatori hanno preso in esame nel complesso 62 luoghi in tutto il mondo (dalle Fiji, all’Uganda, al Vietnam, alle isole Cayman, alla Svezia, alcuni con dati più o meno completi) per capire le conseguenze della modifica di un habitat naturale in ambiente ad uso umano, o viceversa. Quando si trattava di ambienti naturali, gli studiosi hanno fatto un paragone con luoghi simili già convertiti all’uso umano – ad esempio un’area protetta con una zona agricola – mentre per le aree modificate dall’uomo si è ipotizzato un loro ripristino naturale. Non solo inoltre sul mercato attuale, ma cercando di considerare quali conseguenze potrebbero avere i cambiamenti su un orizzonte di 50 anni.

E come sostiene Andrew Balmford dell’Università di Cambridge e tra gli autori dello studio, anche se guardiamo solo al lato economico la tutela della natura è comunque la miglior scommessa che possiamo fare. Ad esempio, il parco nazionale Shivapuri-Nagarjun, in Nepal, se fosse diventato terreno agricolo avrebbe ridotto lo stoccaggio di carbonio – quindi la mitigazione delle emissioni – del 60% e la qualità dell’acqua dell’88%, con un deficit di 11 milioni di dollari l’anno. Oppure la palude salmastra Hesketh Out Marsch, nel Regno Unito: i ricercatori hanno calcolato che ogni ettaro vale più di 2.000 dollari per il solo stoccaggio di carbonio, ben più di un ipotetico guadagno da coltivazioni e pascoli.

Il dato più sorprendente è forse quello legato al costo sociale del carbonio, cioè il costo per la società degli impatti dovuti alle emissioni di gas serra: nella ran parte dei casi analizzati i siti naturali compensano le emissioni di gas serra in misura tale da superare i guadagni che la società otterrebbe con il loro sfruttamento. Senza considerare i costi di biodiversità associati alla perdita degli habitat naturali, aggiungono i ricercatori, spiegando come in generale per la maggior parte dei siti analizzati si guadagnerebbe di più lasciandoli inalterati.

Più vantaggi anche per i privati

Si potrebbe obiettare che l’essere umano sfrutti un territorio proprio per guadagnarci: nelle zone destinate a coltivazioni più costose come lo zucchero, infatti, il vantaggio economico aumenta. Tuttavia lo studio dimostra che nella maggior parte dei casi lo sfruttamento sottrae valore ai siti e che, anche considerando i guadagni privati, perfino in un habitat naturale il vantaggio è maggiore. Un esempio sono le isole Cayman, dove grazie a TESSA cittadini e associazioni hanno analizzato 15 siti e hanno scoperto che mantenere intatto l’ecosistema permette non solo di far fronte alle tempeste tropicali, di tutelare le specie animali utili contro i parassiti, di consentire alla popolazione locale il sostentamento con pascoli e coltivazioni e di preservare l’acqua limpida, ma anche di mantenere un turismo di alta qualità, vitale per l’economia.

Ciò non significa, ricordano i ricercatori, che si debba completamente abbandonare l’uso umano del suolo poiché questo studio si focalizza sui singoli luoghi. Sarà perciò necessario continuare con studi di questo tipo per capire in quali casi l’habitat naturale è un vantaggio per l’intera società.

Riferimenti: Nature Sustainability, University of Cambridge

Credits immagine di copertina: Sahil on Unsplash

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