Perché mettiamo così tardi i denti del giudizio?

C’è chi il giudizio non lo mette mai. Parliamo del dente, s’intende. Fra chi lo mette, poi, sono pochi quelli che riescono a conviverci e molti quelli costretti a farci i conti, con non poco dolore. E, se qualcuno si fosse mai chiesto a che cosa servono, veramente, quei quattro denti, la risposta è semplice: non servono quasi più a nulla. Così come per gli altri molari, però, la crescita dei denti del giudizio è strettamente correlata al ciclo vitale dell’essere umano, cioè l’età di maturazione fisica e neuronale. Un nuovo studio pubblicato su Science Advances ha analizzato il sistema di masticazione di 21 specie di primati, in particolare la posizione nell’arcata dentale e l’età di crescita dei molari, e riuscendo per la prima volta a dare spiegare il perché di questa correlazione. E rispondere così alla domanda, perché questi denti crescondo così tardi?

I denti del giudizio (o terzi molari) compaiono nella nostra specie in genere fra i sedici e i venticinque anni d’età (da qui, il nome), mentre gli altri denti, comprese le altre due coppie di molari, emergono tipicamente in due fasi – a circa 6 e 12 anni d’età. Per confronto, lo scimpanzé mette i molari a 3, 6, e 12 anni, il babbuino giallo termina la dentazione con gli ultimi molari all’età di sette anni, e infine il macaco rhesus completa il tutto entro i sei anni.

La forte relazione tra l’età in cui compaiono i molari e il ritmo generale della crescita dell’organismo viene spesso usata dagli antropologi per comprendere come siano cresciute nuove specie di primati di cui vengono ritrovati i fossili (siano fossili umani o di scimmia). Usando questo metodo si può stimare, ad esempio, quando una specie raggiunge l’età adulta, o quando inizia ad avere figli.

“In questo studio, stavamo cercando di capire quale sia il processo sottostante che è responsabile di questa relazione tra l’emergenza molare e la crescita complessiva” spiega a Galileo Halszka Glowacka, professore associato al dipartimento di scienze mediche dell’università dell’Arizona e autore dello studio. “Abbiamo scoperto che c’è un’interazione tra la lunghezza delle mascelle negli adulti e i tassi di crescita delle mascelle stesse che modula questa relazione. Negli esseri umani, poiché le mascelle sono corte (rispetto agli scimpanzé, ad esempio) il tasso di crescita è più lento, e si finisce per avere molari che emergono molto più tardi rispetto ai molari degli scimpanzé”.

Nello studio, gli scienziati hanno costruito un modello 3D dell’apparato di masticazione delle 21 specie di primati analizzati, determinando che il sistema masticatorio cresce in modo molto coordinato, in un processo sinergico che coinvolge i muscoli masticatori, le mascelle e i denti. I molari emergono solo quando c’è abbastanza spazio per loro nelle mascelle, in una posizione abbastanza avanzata in modo che quando si mastica non ci sia il rischio di danneggiare l’articolazione della mascella. Negli esseri umani, poiché la crescita dell’organismo avviene così lentamente, anche quella delle mascelle procede allo stesso modo e per molti anni non vi è spazio per i molari. Non solo, secondo i risultati, la crescita delle mascelle umane è probabilmente legata anche alla storia di vita e di maturazione dell’essere umano (e cioè dalla sua crescita somatica e neuronale, ad esempio), anch’essa molto protratta nel tempo rispetto ad altri primati.

Per quel che riguarda i denti del giudizio, ormai non più coinvolti nel sistema di masticazione e spesso problematici, la questione rimane invece aperta. “Abbiamo notato una riduzione delle dimensioni dei denti molari negli esseri umani rispetto ad alcuni dei nostri antenati fossili, quindi è possibile che questa tendenza continui” conclude Glowacka. “Per ora non possiamo dire nulla sul fatto che i denti del giudizio possano scomparire, comunque”.

Riferimenti: Science Advances

Credits immagine: Enis Yavuz on Unsplash

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