Il cibo in una missione spaziale non è un particolare da prendere sotto gamba. Per funzionare efficacemente il corpo umano ha bisogno di energia, e visto che gli astronauti devono portarsi tutto da casa, e che ogni cosa che viene spedita in orbita ha un costo elevato e occupa spazio prezioso, i pasti sono studiati al millimetro per fornire nutrienti e calorie necessarie per la missione. Il problema è che però, alla fine, gli astronauti finiscono quasi sempre per mangiare molto meno del previsto, e perdono in media circa due chili di massa grassa nel corso delle missioni di lunga durata.
Il cibo spaziale fa schifo
I resoconti degli astronauti sono più o meno uniformi su questo aspetto: il cibo che si consuma nello spazio sembra perdere di sapore, tanto che la Nasa al suo personale fornisce salse piccanti, salsa barbecue, e diversi altri condimenti per spezzare la monotonia gustativa durante le missioni. Il fenomeno è noto dalla fine degli anni ‘90, quando con l’inaugurazione dell’Iss gli astronauti hanno smesso di consumare barrette, bustine di purea e altri alimenti spaziali (necessari visto che in precedenza non era disponibile neanche l’acqua calda con cui reidratare del cibo liofilizzato), e hanno iniziato a seguire un’alimentazione relativamente simile a quella a cui siamo abituati qui sulla Terra.
Le ipotesi proposte per spiegare la perdita di peso e di appetito che sperimentano gli astronauti sono diverse. Si è pensato all’effetto della microgravità sugli alimenti o sulla fisiologia umana, ma i risultati di un esperimento realizzato nello Skylab della Nasa (la stazione spaziale operata dagli americani tra il 1973 e il ‘74) hanno smentito questa possibilità, perché chiedendo espressamente ai membri della missione di consumare ogni giorno per intero le razioni ricevute non è stato notata alcuna perdita di peso. Deve trattarsi quindi di un’insufficiente apporto calorico legato al consumo ridotto di cibo. Come dicevamo, è quindi un problema di sapore: qualcosa rovina il gusto degli alimenti, e quindi l’appetito degli astronauti. Di cosa si tratta?
L’esperimento
Il cambio di sapore dei cibi nello spazio potrebbe essere legato, almeno in parte, a un fenomeno che colpisce tutti gli astronauti quando si trovano in un ambiente a microgravità: lo spostamento dei fluidi corporei verso l’alto. Non più attirati in basso, e quindi in direzione dei piedi, dalla gravità terrestre, sangue e altri liquidi di cui è composto il nostro organismo tendono a risalire verso la testa, congestionando i tessuti del volto e causando quel gonfiore che contraddistingue il viso di tutti gli astronauti a lavoro sull’Iss. Con il naso e le via aeree tappate a questo modo, è probabile che ci si perda molto degli aromi che compongono una parte importante della nostra percezione del gusto, esattamente come capita durante un brutto raffreddore. E però – scrivono i ricercatori del Royal Melbourne Institute of Technology nel loro studio pubblicato sull’ International Journal of Food Science + Technology – diversi astronauti assicurano che i problemi col sapore dei cibi continuano anche dopo che il corpo si abitua al nuovo ambiente a microgravità.
Qualcos’altro, insomma, potrebbe contribuire a rendere anomalo il gusto degli alimenti consumati sull’Iss, e per capire di cosa potrebbe trattarsi, i ricercatori hanno organizzato un esperimento. I ricercatori hanno testato in che modo cambiasse la percezione di tre aromi – vaniglia, mandorla e limone – annusati prima in un normale ambiente terrestre, e quindi nei labirintici corridoi a microgravità della Stazione spaziale internazionale. Non potendo spedire i loro soggetti di studio nello spazio, si sono accontentati della cosa più simile che si può sperimentare sulla Terra: una ricostruzione dell’Iss creata con la realtà virtuale. E una volta analizzate in questo modo le esperienze di 54 adulti di ambo i sessi, i ricercatori hanno ottenuto risultati in qualche modo inaspettati.
Come cambiano gli aromi
Due degli aromi testati, quello di vaniglia e quello di mandorla, sono stati valutati in media come più intensi dai partecipanti quando venivano annusati all’interno della simulazione della Stazione spaziale internazionale. Per quello di limone, invece, non sono emerse differenze. Secondo gli autori dello studio, il fenomeno si può spiegare ipotizzando che i profumi dolciastri tendano a risultare più intensi quando ci si trova in un ambiente isolato, che ispiri solitudine.
I risultati, per quanto preliminari, sembrerebbero promettenti: caratterizzando più a fondo quali profumi si intensificano in un ambiente spaziale, e quanto sia comune e intenso il fenomeno, sarà possibile in futuro realizzare alimenti pensati espressamente per risultare appetibili durante le missioni spaziali. Arrivando – ipotizzano gli autori dello studio – a progettare menù personalizzati per i singoli astronauti, basati sulle loro preferenze alimentari, e sui cambiamenti che ha il loro senso del gusto a bordo di astronavi e stazioni spaziali. Non è tutto, perché approfondire le conoscenze sui cambiamenti che impone al nostro senso del gusto l’ambiente in cui viviamo potrebbe aiutare anche chi rimane sul nostro pianeta: anziani residenti delle Rsa, pazienti ricoverati in ospedale, disabili, militari in missione in ambienti estremi come può essere un sottomarino, che potrebbero beneficiare al pari degli astronauti di alimenti personalizzati, pensati per migliorare l’apporto nutritivo e, al contempo, l’appetito.
Via: Wired.it
Credits immagine: via NASA Johnson/Flickr CC
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