L’intelligenza di Blob, la melma policefala che fa impazzire gli scienziati

Ricorda un po’ lo slime con cui si divertono i bambini, ma è un essere vivente. Un animale? No. Una pianta? Nemmeno. Sarà un fungo, allora. Sbagliato di nuovo. Lo chiamano Blob, ma il suo vero nome è Physarum polycephalum (qualcuno gli ha aperto anche un profilo Twitter): è una melma policefala che fa parte del regno dei protisti, diventata famosa perché continua a lasciare a bocca aperta gli scienziati. Blob, oltre ad avere più di 700 sessi, ha tantissime teste ma nessun cervello. E nonostante questo “pensa”.

Ciao, sono Blob

Se lo cercate sulle calde spiagge assolate non lo troverete di certo. Blob vive in ambienti bui e umidi come il sottobosco, dove si nutre di materia organica decomponendola. Physarum polycephalum all’inizio della sua vita è costituito da tante cellule ciascuna con il proprio nucleo, che poi si fondono a formare un’unica grossa cellula con tanti nuclei (possono essere anche milioni). In questa forma Blob può muoversi, nutrirsi e crescere. E fare anche cose che non ti aspetteresti da una creatura che non ha un cervello o un sistema nervoso, per esempio prendere decisioni.

Il proto-pensiero

Ricerche precedenti avevano già rivelato che Blob reagisce a stimoli ambientali come la luce (da cui rifugge) le sostanze chimiche, viene attratto dalle risorse alimentari e si ricorda il luogo in cui ha trovato del cibo o in cui ha incontrato un suo simile. Riesce persino a risolvere labirinti, a imparare cose nuove e a scambiare informazioni.

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Ma Blob non si limita a questo e continua a stupire. Con una nuova serie di esperimenti in laboratorio i ricercatori del Wyss Institute della Harvard University e della Tuft University (Usa) hanno scoperto che questo organismo decide la direzione verso cui crescere sulla base delle sole caratteristiche fisiche dell’ambiente circostante, in assenza quindi di stimoli alimentari o chimici che ne influenzano il comportamento.

Per esempio, gli scienziati hanno posto Physarum polycephalum al centro di una piastra Petri su un terreno di agar e hanno posizionato da un lato della piastra un dischetto di vetro, dall’altro tre dischetti di vetro affiancati. Lasciato per 24 ore al buio, per le prime 12 ore Blob cresce indifferentemente in tutte le direzioni, ma poi, senza aver prima esplorato fisicamente tutta l’area, nel 70% delle volte decide di mandare i suoi prolungamenti verso il lato in cui sono posizionati i tre dischetti.

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(Immagine: Nirosha Murugan, Levin lab, Tufts University and Wyss Institute at Harvard University)

All’inizio gli scienziati pensavano fosse in grado di percepire la massa più grande, ma altri esperimenti in cui i tre dischetti venivano impilati non lo hanno confermato. Simulazioni al computer, alla fine, hanno rivelato che questa capacità di “ricognizione a distanza” è dovuta a un meccanismo di percezione della deformazione del terreno in cui sembrano implicate proteine sensibili allo stiramento. Molecole simili, chiamate proteine Trp, sono presenti anche sulle membrane cellulari di alcuni mammiferi. È l’indizio, secondo i ricercatori, di quanto la percezione biomeccanica sia comparsa presto nell’evoluzione degli organismi viventi e quanto possa essere connessa alla morfogenesi e ai comportamenti e a quella che chiamiamo intelligenza.

“Capire come la vita proto-intelligente riesca a fare questo tipo di calcoli ci dà maggiori informazioni sulle basi della cognizione e del comportamento degli animali, compreso il nostro”, ha commentato Nirosha Murugan della Tuft University. Physarum polycephalum, ha aggiunto il collega Mike Levin del Wyss Institute della Harvard University, “offre un nuovo modello per esplorare i modi in cui l’evoluzione usa la fisica per implementare la cognizione primitiva che guida la forma e la funzione”.

Via Wired

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