L’homeschooling come alternativa alla scuola pubblica

L’homeschooling, in italiano educazione parentale, è un’alternativa educativa alla comune frequentazione delle aule scolastiche pubbliche: i genitori che scelgono questa alternativa decidono, quindi, di provvedere direttamente all’educazione dei bambini.

I motivi per cui un genitore sceglie l’homeschooling sono molteplici, e variano da caso a caso:

  1. Culturali: le famiglie con almeno un genitore straniero possono scegliere di formare i bambini a casa seguendo il sistema educativo e i programmi delle scuole del loro paese d’origine.
  2. Qualitativi: molte famiglie ripongono una scarsa fiducia nelle istituzioni scolastiche, non le ritengono all’altezza di dare una preparazione che risponda ai bisogni e agli ideali educativi dei genitori.
  3. Sanitari: abitualmente per problemi di salute del bambino, oppure, come sta accadendo in questo periodo, per contesti di incertezza sulla salute pubblica dovuti al Covid-19 o di uno dei famigliari conviventi.

Sebbene in Italia le famiglie che perseguono questa scelta  non sono numerose come in altri stati, come ad esempio nel Regno Unito, in questo periodo molto particolare in cui siamo costretti a convivere con il COVID-19, i numeri sono aumentati anche nel nostro paese.

Homeschooling e sistema scolastico italiano

L’homeschooling in Italia è legale, come sancito dall’Articolo 34 della Costituzione, che rende obbligatoria e gratuita l’istruzione per almeno 8 anni (6-14 anni, poi esteso a 16 anni), e non la frequentazione della scuola. Il genitore ha però il diritto di poter scegliere l’istruzione che ritiene più adatta per il proprio figlio.

Questo in cosa si traduce?

Nel fatto che i genitori devono essere consapevoli delle competenze che il bambino deve raggiungere nelle varie tappe di sviluppo previste dal sistema scolastico italiano ed organizzarsi in modo da farle raggiungere.

D’altro canto il metodo da adottare per perseguire queste competenze è a totale discrezione del genitore e dipende dallo stile educativo che meglio si adatta alle proprie esigenze:

  • alcuni decidono di attenersi ai programmi ministeriali, utilizzando i testi scolastici e studiando in una determinata fascia oraria;
  • altri affrontano una materia per volta, passando alla successiva solo quando la precedente è stata assimilata;
  • altri ancora decidono di seguire le inclinazioni del proprio bambino, praticando il cosiddetto unschooling: la famiglia sceglie come e cosa imparare, secondo i desideri e le attitudini del bambino.

Vero è però che i bambini ogni anno dovranno sostenere un esame per dimostrare di aver acquisito le competenze richieste, per poter passare alla classe successiva. In questo modo il sistema scolastico pubblico supervisiona che l’effettivo diritto del bambino all’istruzione sia ottemperato ed espletato in modo adeguato.

A livello formale quindi, i genitori che intendono intraprendere questo percorso devono:

  • presentare una dichiarazione al dirigente scolastico della scuola più vicina,
  • affermare di avere le competenze economiche e tecniche per provvedere all’educazione dei propri figli
  • far fare l’esame di fine anno, che certifica l’acquisizione delle competenze.

Homeschooling: pro e contro

Secondo i fautori dell’homeschooling, ciò che fa del genitore un buon insegnante non è tanto la sua cultura, ma il suo atteggiamento verso l’educazione dei figli e la loro crescita d’insieme.

L’offerta formativa legata al sistema di educazione parentale assume quindi alcune specifiche molto distintive:

  • è più flessibile, rispetto ai programmi a cui si devono attenere gli insegnanti,
  • in particolare il percorso di apprendimento può essere ritagliato a misura per il bambino, rispettando i suoi tempi di apprendimento,
  • i metodi di insegnamento sono più variegati: i piccoli possono imparare, oltre che “tradizionalmente” sui libri, anche all’aperto, con la conversazione, il gioco, il confronto con persone di ogni età e i lavori domestici. Vengono immersi nella società, attraverso visite didattiche a musei, volontariato, lezioni di arte, musica, danza…

D’altro canto con l’homeschooling il bambino potrebbe essere penalizzato nel campo della socializzazione, della relazione con altre figure in posizione di autorità al di fuori dei genitori e trovare difficoltoso un eventuale distacco dalla famiglia. Inoltre, alcuni detrattori dell’homeschooling lo ritengono poco democratico, rispetto all’educazione tradizionale, perché, tende ad essere adottato da nuclei famigliari con più possibilità economiche e culturali.

Dall’educazione parentale alla scuola parentale

L’educazione parentale non va però confusa da un’altra alternativa nel panorama dell’offerta formativa a nostra disposizione: la scuola parentale.

Questa tipologia di scuola nasce dall’esigenza un gruppo di genitori che condivide un insieme di valori molto forti, al tal punto da fondare una scuola dotata di un proprio progetto educativo in linea con i valori e gli ideali del gruppo. Le famiglie quindi sottoscrivono il progetto educativo condiviso e scelgono gli educatori che più incarnano tale visione. In questo caso gli educatori possono essere professionisti esterni, ma anche genitori, che, però, devono dimostrare di avere competenze tecniche ed educative adeguate per poter insegnare.

La scuola parentale può essere considerata a metà strada fra il percorso classico dell’istruzione pubblica e l’homeschooling:  i genitori infatti hanno un controllo costante sul programma e sui progressi dei figli, attraverso un’offerta formativa fortemente personalizzata, ma non si esclude la componente di socialità che invece può essere penalizzata nell’homeschooling.

In Italia, non c’è ancora una normativa ben definita che regoli le scuole parentali, essendo una realtà giovane e poco conosciuta.

A seconda del numero di famiglie coinvolte nel progetto formativo, la scuola parentale può essere costituita con diverse forme giuridiche:

  • il gruppo informale, quando le famiglie sono poche: una volta condivisa la proposta formativa, è necessario selezionare una sede e successivamente registrarsi all’agenzia delle entrate come gruppo informale. È in assoluto la forma più semplice di aggregazione.
  • L’associazione no profit, è consigliabile per un numero maggiore di famiglie, quando emerge l’esigenza di un’organizzazione più strutturata con un proprio statuto e cariche ben definite tra i soci.
  • La cooperativa no profit, per i gruppi più numerosi, dove è più importante avere un’organizzazione gerarchica che gestisca le famiglie e coordini l’intero progetto.

A livello normativo non ci sono vincoli precisi che obbligano il gruppo informale a diventare associazione o cooperativa: questo diventa un bisogno dei fondatori del gruppo per rendere più fluida la gestione a livello organizzativo e burocratico, creando un direttivo ed uno statuto chiaro, per non rischiare che nuovi arrivati possano sovvertire quanto fino ad allora creato.

/ 5
Grazie per aver votato!

Scroll to Top