Lessi s more, ovvero l’arte della sottrazione

In questa specie di elogio della sottrazione, lo psicologo Paolo Legrenzi vuole mettere in discussione il valore negativo che di solito viene attribuito alle idee di perdita, mancanza, o soltanto riduzione di qualcosa. I suoi esempi riguardano aspetti della vita quotidiana e modalità abituali di pensiero che vengono di volta in volta analizzati criticamente, con considerazioni che investono modi di pensare e di agire socialmente diffusi. Sembra anche che, polemicamente, Legrenzi voglia talvolta togliersi qualche sassolino dalla scarpa, per esempio criticando le concezioni sul cervello “a cipolla”, presentate nella gran parte dei libri di testo di psicologia, o quelle relative al libero arbitrio.

Discutendo il progresso dell’umanità, è facile rendersi conto che più le conoscenze aumentano, più si notano quelle che mancano: si aprono nuovi campi di ricerca per accostarsi a quello che non si sa, e il sapere che cresce porta a eliminare parti di quello precedentemente acquisito. Aumentano le ipotesi da scartare e ci si accorge che quel che bisogna sapere per fare bene qualcosa è proprio quello che serve per capire di non saperla fare.

Paolo Legrenzi
Quando meno diventa più. La storia culturale e le buone pratiche della sottrazione.
Raffaello Cortina ed., 2022
pp. 255, € 15,00

Le tendenze del ‘900, in musica e in pittura tendono ad eliminare dall’arte materialità e intenzionalità: così ad esempio Pollock e Cage, sottraendo la specificità della materia, creano opere uniche, irriproducibili e intangibili. Procedere per sottrazioni in modo corretto, commenta Legrenzi, implica spesso uno sforzo cognitivo più impegnativo di quello richiesto per le addizioni: i risultati di esperienze effettuate in laboratorio lo dimostrano chiaramente, e dimostrano anche come comportamenti in cui “sottrarre” sarebbe ovvio non sono né comuni né condivisi. Per esempio, ritornare indietro ammettendo di essersi sbagliati è particolarmente difficile: è più facile superare un punto di non ritorno e continuare nell’errore aspettando improbabili soluzioni che intervengano quasi miracolosamente ad aggiustare le cose. Questi processi di semplificazione indebita stanno portando l’umanità a sottovalutare problemi globali come il riscaldamento del pianeta, la malnutrizione, la sovrappopolazione.

L’uomo, fin dalla sua preistoria, non ha avuto evolutivamente modo di confrontarsi col cambiamento climatico; siamo quindi biologicamente inadatti a capire i progetti volti a prevenirlo, perché contrastano con la nostra psicologia sottostante. Ma la percezione del pericolo dipende anche da fattori sociali e culturali e potrebbe quindi essere modificata: è urgente, allora, cambiare il clima culturale e gli atteggiamenti collettivi per affrontare questo problema.

A volte, il valore attribuito all’esperienza acquisita impedisce di modificare idee e comportamenti; il passato condiziona il presente anche nelle scelte di ampio respiro e cambiare strada è molto difficile. In questo senso, sottraendo passato, ci si può più facilmente aprire al futuro.

Nella seconda parte del volume sono indicati in dieci punti gli ostacoli alla sottrazione. Qui l’autore propone elogi per la distrazione, per la capacità di sospendere abitudini consolidate acriticamente, per il controllo sugli eccessi emotivi che possono procurare disadattamento. Le sue argomentazioni si basano tanto su esperienze personali quanto sui risultati sperimentali degli studi di psicologia.

Sono interessanti le numerose citazioni dal romanzo di Calvino “il barone rampante”, dove il protagonista Cosimo sottrae la terra dalle sue esperienze di vita mettendo in evidenza situazioni in cui il meno diventa più. Il decimo punto, il più rilevante, recita: Meno addizione egoistica, più sottrazione altruistica; e invita a “decentrare il baricentro della nostra attenzione” sviluppando un cambiamento complessivo degli abituali comportamenti.

Nella terza parte vengono presentate le buone pratiche della sottrazione, in verità conseguenti a un moralismo spicciolo piuttosto ovvio e banale. Così Legrenzi invita a ridurre le calorie nell’alimentazione, a ridurre gli zuccheri, dedicarsi a passeggiatine igieniche che aiutino la riflessione, a controllare le emozioni, a non accumulare troppo denaro e a risparmiare moderatamente. Forse non proprio coerenti con la complessiva gestione del discorso, e quindi piuttosto inaspettati, vengono dati in più punti del volume dei consigli sulla gestione dei propri soldi: si suggeriscono modalità di investimento a lungo termine “comprando in blocco tutte le azioni quotate tramite un indice calcolato in proporzione all’importanza delle aziende che hanno emesso quelle azioni”. Questo sembra essere un modo di ottenere da un meno un più assai più fruttuoso degli abituali investimenti immobiliari. 150 euro risparmiati al mese e investiti acquistando secondo l’indice che riassume in sé tutti i mercati azionari del mondo possono procurare, in un trentennio, circa 200.000 euro, una buona assicurazione contro gli imprevisti.

Nelle conclusioni, Legrenzi indulge a parole di speranza rinnovando gli inviti a eliminare ciò che è poco rilevante e a concentrarsi sull’essenziale, sviluppando l’avanzamento della scienza e una più diffusa istruzione scientifica. Con molto meno ottimismo, difficilmente trasformabile in più, si può anche essere d’accordo su queste nobili (e scontate) petizioni di principio; ma resta il problema di cosa fare davvero per realizzarle concretamente.

Credits immagine: Etienne Girardet on Unsplash

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