La superconduttività a temperatura ambiente è ancora un mistero

Il 14 ottobre 2020 un’équipe di fisici applicati della University of Rochester, coordinata da Ranga Dias, ha pubblicato sulle pagine della prestigiosa rivista Nature un articolo in cui sosteneva di essere riuscita a mettere a punto un materiale con proprietà di superconduttività a temperatura ambiente – circa 15 gradi centigradi per la precisione. Un fatto che forse a molti potrebbe non sembrare particolarmente intrigante, ma che in realtà per gli addetti ai lavori costituisce (costituirebbe: vedremo tra un attimo le ragioni del condizionale) una specie di graal della fisica: riuscire a ottenere la superconduttività a temperatura ambiente spalancherebbe le porte a un’infinità di applicazioni tecnologiche e aiuterebbe a diminuire i costi e aumentare l’efficienza della produzione e del trasporto di energia elettrica. Una vera e propria rivoluzione, insomma. Troppo bello per essere vero? E infatti: più di uno scienziato ha messo in questione i risultati dell’ottobre scorso, sostenendo che addirittura i dati pubblicati sarebbero “probabilmente fraudolenti” e incompatibili con esperimenti analoghi. Potrebbe essere tutto da rifare, insomma. Ecco come stanno le cose per quello che sappiamo in questo momento.

Cosa è la superconduttività

In condizioni normali, qualsiasi materiale in cui scorre della corrente elettrica presenta una sorta di “attrito” al passaggio dei portatori di carica. È quello che in fisica si chiama resistenza, un fenomeno che tra l’altro, in virtù del cosiddetto effetto Joule, porta allo sviluppo di calore, e fa funzionare, tra le altre cose, forni, stufette elettriche e ferri da stiro. Oltre cento anni fa, nel 1911, il fisico tedesco Heike Kamerlingh Onnes scoprì che in alcune condizioni, e in particolare a temperature molto prossime allo zero assoluto, la resistività del mercurio si annullava improvvisamente: il mercurio si trasformava cioè in un materiale superconduttore, che esibisce una resistenza nulla al passaggio di corrente, in cui i portatori di carica non incontrano alcun attrito e non sviluppano calore. Una cosa non da poco: con un cavo superconduttore sarebbe possibile, per esempio, trasportare corrente senza alcuna dissipazione di energia, migliorando così di svariati fattori l’efficienza della distribuzione. Resta però il problema del raffreddamento, dal momento che raggiungere temperature prossime allo zero assoluto è possibile soltanto in ambienti controllati e con strumenti dedicati: ed è proprio per questo che la comunità scientifica sta cercando da tempo di realizzare materiali che esibiscano proprietà di superconduttività a temperature più alte, vicine a quelle che si hanno in condizioni reali.

I precedenti

Non è la prima volta che qualcuno afferma di essere riuscito a realizzare un superconduttore ad alta temperatura. Né che una dichiarazione del genere abbia generato polemiche e scetticismi. Nel giugno del 2019, per esempio, un gruppo di ricercatori dello Indian Institute of Science di Bangalore aveva annunciato di aver messo a punto un nuovo nanomateriale composto di particelle di argento incapsulate in una matrice di atomi d’oro che, a detta loro, si trasformava in un superconduttore a temperature ben lontane dallo zero assoluto. In particolare, gli autori del lavoro dicevano di aver osservato (non su tutti i campioni utilizzati, e non molto a lungo) un brusco abbattimento della resistenza elettrica: Nobel subito? Non così in fretta: il fisico americano Brian Skinner – uno dei più feroci contestatori dello studio – spiegò di aver individuato, nei dati presentati dai ricercatori indiani, un pattern ricorrente e sospetto di rumore (l’incertezza statistica nelle misurazioni) presente sia nei campioni analizzati sia nei controlli, il che potrebbe indicare che i dati siano stati alterati in qualche modo. Oppure, più probabilmente, che gli autori dell’esperimento abbiano commesso qualche errore in buona fede. Fatto sta che, al momento, l’esperimento non è stato ancora ripetuto, e le riserve avanzate da Skinner (e da altri) non sono mai state sciolte.

Cosa dice lo studio contestato…

Torniamo alla storia da cui abbiamo iniziato. Gli autori dello studio del 2020 avevano annunciato di aver sintetizzato un materiale composto da un mix di idrogeno, carbonio e zolfo in grado di mostrare caratteristiche di superconduttività a temperatura ambiente: “Cerchiamo questi materiali da oltre un secolo”, commentava Dias, “e trovarli cambierà certamente il mondo. La nostra scoperta apre le porte a un’infinità di applicazioni”. La scoperta era stata salutata con entusiasmo in un editoriale su Science (“Finalmente, ottenuta la superconduttività a temperatura ambiente”, questo il titolo) che però non mancava di sottolinearne i limiti, e in particolare il fatto che per trasformare il materiale in superconduttore fosse necessario imprimergli una pressione elevatissima, pari a circa 2,6 milioni di volte la pressione atmosferica. E il passo successivo degli autori del lavoro, dicevano, sarebbe stato per l’appunto quello di capire come riuscire a diminuire la pressione richiesta per l’esibizione delle proprietà di superconduttività.

…e cosa dicono gli scettici

Tuttavia, la pressione potrebbe non essere l’unico dei problemi del team della University of Rochester. Diversi altri esperti, infatti, hanno aspramente criticato lo studio di Dias e colleghi, come raccontato in un altro pezzo pubblicato su Science (il cui autore, Robert F. Service, è lo stesso dell’editoriale del 2020): “Jorge Hirsch, un fisico della University of California, San Diego, ha espresso perplessità su alcune delle evidenze dello studio”, spiega Service, “e in particolare su una serie di misurazioni magnetiche. Hirsch dice, tra l’altro, che la sua richiesta di ricontrollare i dati è stata rifiutata dagli autori per quasi un anno. In un paper che ha pubblicato il mese scorso, ha affermato addirittura che i risultati sono ‘probabilmente fraudolenti’”. Dias, dal canto suo, ha rimbalzato al mittente le critiche, affermando che Hirsch non è un esperto di fisica di alta pressione e che già in passato aveva bollato come errata un’altra teoria relativa alla superconduttività (la cosiddetta teoria BCS), i cui scopritori vinsero il Nobel per la fisica nel 1972: “Hirsch è un troll”, ha detto senza mezzi termini, “e non abbiamo intenzione di nutrirlo [‘We are not going to feed this troll’] fornendogli i nostri dati”.

Il punto è però che diversi scienziati hanno provato a replicare l’esperimento di Dias, senza però ottenere gli stessi risultati. Al nocciolo della questione ci sono dettagli abbastanza tecnici: per confermare che un materiale sia superconduttore, i ricercatori di solito cercano di osservare, oltre all’abbattimento della resistività, anche un altro indicatore, il cosiddetto effetto Meissner, un fenomeno in virtù del quale il materiale, al di sotto della temperatura critica, espelle dei campi magnetici. Nel caso del composto messo a punto da Dias, l’idruro di zolfo carbonoso (Csh), non è stato possibile misurare questo effetto (perché questi materiali si formano in dispositivi costituiti da materiali magnetici) e quindi gli scienziati hanno guardato a un’altra proprietà, la suscettibilità magnetica, che misura quanto un materiale si magnetizza se viene immerso in un campo magnetico. Dias sostiene che la suscettibilità magnetica del Csh si abbatta in corrispondenza della temperatura critica, coerentemente con quello che ci si aspetta con un materiale superconduttore; Hirsch, invece, dice che i dati mostrano che raffreddando ulteriormente il materiale la suscettibilità torna a salire, il che non è del tutto coerente con altri risultati già noti. Per questi motivi, Hirsch ha chiesto a Dias i dati grezzi dell’esperimento. Ma quest’ultimo ha rifiutato, dicendo che il suo team sta lavorando alla richiesta di brevetto del composto e che in questo momento non può rendere pubbliche tutte le informazioni richieste. All’appello di Hirsch si sono uniti anche altri scienziati: “Non è bello che Dias non stia cooperando con chi mette in discussione i suoi risultati”, ha detto per esempio Marvin Cohen, fisico teorico alla University of California, Berkeley. “Ho detto a Dias di dare a Hirsch i dati grezzi, per l’amor del cielo”. Al momento, però, Hirsch ha risposto ancora picche. Quale che sia la verità, la storia è tutt’altro che conclusa.

Via: Wired.it
Credits immagine: Unsplash

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