Il computer quantistico di Google ha creato i cristalli temporali

I fisici hanno creato in laboratorio un nuovo stato della materia, i cosiddetti cristalli temporali, particolari strutture che si ripetono periodicamente nel tempo, mentre i cristalli normali, quelli che conosciamo, si ripetono nello spazio. I cristalli temporali sono oggetti molto particolari, teorizzati in anni recenti e spiegati dalle leggi della meccanica quantistica, le cui prime prove sperimentali stanno arrivando adesso. Oggi un team dell’università di Stanford, di Oxford e del Max Planck Institute, insieme a Google Quantum AI Lab, ha riprodotto queste insolite strutture utilizzando il processore quantistico Sycamore di Google. I risultati, pubblicati su Nature, potrebbero aiutarci a comprendere meglio complesse proprietà della fisica e trovare applicazioni nei computer quantistici del futuro.


Così la fisica classica spiega i “cristalli temporali”, un nuovo stato della materia


Cosa sono i cristalli temporali

L’ipotesi teorica dell’esistenza di cristalli temporali è stata avanzata nel 2012 ad opera del fisico premio Nobel Franck Wilczek, docente al Mit. La prima riproduzione in laboratorio è invece avvenuta nel 2017, descritta in un lavoro su Nature. In generale i cristalli classici sono strutture solide, composte da atomi, molecole o ioni, che per definizione hanno una disposizione geometrica definita e che si ripetono nelle tre dimensioni spaziali. In pratica si tratta di reticoli geometrici dove atomi o molecole si distribuiscono in maniera regolare. 

Nel caso dei cristalli temporali, la regolarità si manifesta e si dispiega non nello spazio ma nel tempo. Sono strutture, diverse da quelle che immaginiamo – nel caso classico, dal sale ai diamanti, dagli smeraldi ai rubini – che si modificano costantemente nel tempo e poi tornano sempre periodicamente nella configurazione iniziale. Sono di fatto catene di atomi che pulsano in assenza di energiarestando in movimento nel tempo senza richiedere l’azione di una forza esterna. 

Questo avviene grazie a particolari proprietà al momento spiegate con le leggi della meccanica quantistica. Per questo gli oggetti sono molto stabili e non vengono perturbati dalle sollecitazioni esterne. La loro resistenza, inoltre, li rende molto interessanti per lo sviluppo dei potentissimi computer quantistici.

Le prime prove con i computer quantistici

In teoria, inoltre, i cristalli temporali, se isolati perfettamente, potrebbero funzionare indefinitamente, nella pratica ottenerli è molto complesso e la loro durata è di qualche frazione di secondo. In un recente esperimento pubblicato su Science, per esempio, gli scienziati sono riusciti a tenerli in vita per alcuni secondi. In questo lavoro su Science il cristallo temporale è stato ottenuto utilizzando i qubit, le unità dell’informazione quantistica, all’interno di un diamante.

Anche oggi gli scienziati dell’università di Stanford, guidati da Vedika Khemani, e del team di Google hanno trasformato un gruppo di qubit in un cristallo temporale, mediante l’uso del computer quantistico di Google Sycamore. Qui l’immagine del chip utilizzato. 

Crediti: Google Quantum AI. Il chip del computer quantistico Sycamore di Google

Queste catene di qubit hanno di fatto dimostrato di avere una simmetria temporale (e non spaziale, come i cristalli classici), riprodotta durante tutto l’esperimento. Il sistema si ripeteva nel tempo e il tutto in assenza di un intervento esterno, senza fornire energia. Per questo gli autori ritengono di aver creato con questo sistema un cristallo temporale discreto. “I cristalli temporali – commenta Khemani – sono un esempio lampante di un nuovo tipo di fase quantistica della materia al non-equilibrio”. 

Al momento sono oggetti studiati soltanto dalla teoria o in questi primi esperimenti. Ma la ricerca sull’argomento sta crescendo, come dimostra la recente pubblicazione su Science e la presenza di altri studi, sempre del 2021, per esempio su Physical Review Letters e Physical Review B. E chissà che un domani i cristalli temporali non diventino realtà in maniera più diffusa.

Via Wired.it

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