I gatti imitano quello che facciamo, come fanno i cani

Provate a dare a un gatto il comando “seduto!”: difficilmente vi ascolterà. Eppure il felino, l’animale indipendente per eccellenza, potrebbe accondiscendere a queste richieste se messo in condizione di imitare le azioni umane. È quanto emerge da una ricerca pubblicata su Animal Cognition dai ricercatori dell’Università di Budapest Eötvös Loránd, guidati da Claudia Fugazza e Ádám Miklósi, che hanno studiato il comportamento di una gatta giapponese di 11 anni di nome Ebisu. Secondo lo studio, in condizioni scientificamente controllate, Ebisu era in grado di imitare delle azioni che la padrona le mostrava: un paradigma di apprendimento chiamato “Do as I do”, noto a chi addestra i cani. I cani, appunto: questa è la prima volta che a presentare tale capacità socio-cognitiva sono i gatti.

Tutto per quei bocconcini

Ebisu sicuramente non è una gatta come le altre: la sua padrona è un’addestratrice di cani che utilizza, per l’appunto, il metodo “Do as I do” nel suo lavoro. Questa tecnica di addestramento, sviluppata proprio dalla prima autrice dello studio Claudia Fugazza, etologa e istruttrice cinofila, applica nella pratica il paradigma messo a punto negli studi socio-cognitivi sugli animali: consiste nell’insegnare a un cane a replicare un comportamento o un’azione effettuata dal trainer. Spesso viene utilizzato come approccio per capire se gli animali possono davvero imitare, e quindi compiere azioni mai fatte prima, semplicemente osservando chi la esegue. Addestramento vuol dire ordini impartiti, gioco, ma soprattutto bocconcini di ricompensa: è qui che risiedeva la grande motivazione di Ebisu. “Il gatto apparteneva a un’addestratrice che conosco”, spiega a Galileo Fugazza. “Dal momento che le sessioni di esercizio dei cani prevedevano ricompense con il cibo, Ebisu era molto motivata a lasciarsi addestrare”. Spesso, infatti, la gatta si inseriva di straforo negli allenamenti della padrona, solo per ottenere qualche bocconcino in più. L’effetto collaterale, però, è che contestualmente veniva addestrata con il metodo di Fugazza, come se fosse un cane.

Lo faccio io, lo fai tu. Le prime ricerche nei gatti

“Dal momento che non erano mai stati fatti studi del genere sui gatti”, continua la ricercatrice, “era molto interessante poter indagare le loro capacità di apprendimento sociale, ed Ebisu, già addestrata, era un ottimo punto di partenza”. Fare sperimentazioni con un gatto non è però una questione semplice. “Le ricerche che hanno come protagonisti i gatti sono poche proprio perché si tratta di animali difficili da addestrare, probabilmente per la loro spiccata indipendenza. In più, la gatta seguiva i comandi solo della padrona e, se si accorgeva che ad assistere c’era qualcun altro, si fermava e iniziava a fissare lo spettatore”. Per questi limiti lo studio si è concentrato solo su quella unica gatta, mentre a fare la parte dello sperimentatore c’era solo la sua padrona. Fugazza osservava di lontano e con discrezione, per non mandare a monte la sperimentazione. Gli esperimenti mettevano insieme il paradigma Do as I do e il metodo “due-azioni”, già usato nelle ricerche sull’apprendimento sociale dei cani: la gatta avrebbe dovuto imitare due azioni diverse della padrona sullo stesso oggetto, in prove distinte. In particolare, una prova consisteva nel poggiare la mano, e quindi, per la controparte felina, la zampa, su una scatola, e l’altra nell’appoggiarci sopra il viso, perciò il muso. Ebbene, in 16 prove consecutive, Ebisu ha copiato accuratamente la sua proprietaria più dell’80% delle volte. Non solo: il fatto che la gatta avesse usato la zampa e il muso per toccare la scatola quando la padrona usava rispettivamente la mano e il viso, probabilmente indica che fosse in grado di mappare le parti del corpo del suo proprietario sulla sua anatomia.

Purtroppo le ricerche su Ebisu si sono dovute interrompere improvvisamente: la gatta si è ammalata lo scorso anno ed è morta a giugno. Ma i ricercatori hanno potuto imparare molto da lei: “I sospetti di capacità socio-cognitive nei gatti già c’erano”, conclude Fugazza, “e sfido chiunque abbia un gatto a non averlo mai pensato, ma la difficoltà di condurre gli studi con questi animali così indipendenti spiega perché non erano mai emerse in letteratura queste caratteristiche. Le ricerche che coinvolgono i gatti, comunque, stanno aumentando anno dopo anno, e sicuramente Ebisu ci ha aiutato a capirne di più”.

Riferimenti: Animal Cognition

Credits immagine di copertina: Paul Hanaoka on Unsplash

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