Gravidanza e Covid-19, ecco cosa sappiamo finora

Così come per altri ambiti – praticamente tutti quelli che ruotano intorno al coronavirus – anche quello su Covid-19 in gravidanza è un campo di studio in divenire, dove le conoscenze si accumulano man mano. Quello che sappiamo oggi è diverso da quello che sapevamo un anno fa, comprensibilmente visto che l’accumularsi dei dati con il tempo permette di fare una fotografia sempre più precisa. Così, agli inizi della pandemia, per esempio, i primi dati suggerivano che la gravidanza non comportasse un rischio particolarmente maggiore di sviluppare forme gravi di malattia, se non nei casi in cui fossero presenti condizioni come obesità, ipertensione e diabete. Così come essere più avanti negli anni. Fattori di rischio per casi di Covid-19 gravi anche nel resto della popolazione, come abbiamo imparato. L’infezione da coronavirus però si accompagnava a un maggior rischio di parto prematuro. E oggi cosa sappiamo?

Gravidanza è un fattore di rischio per Covid-19?

Appena qualche mese dopo però lo scoppio della pandemia le cose sono iniziate a cambiare in tema di Covid-19 e gravidanza e sono arrivate nuove conferme, smentite, e nuovi dettagli. Difficili da gestire e interpretare in una situazione in divenire, complicati dalla necessaria delicatezza e attenzione necessari quando si parla a delle donne incinte. Così già a luglio gli statunitensi Cdc (Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie) mettevano la gravidanza tra i fattori di rischio per forme gravi di malattia. Le donne incinte, scrivevano i Cdc, rischiano di più rispetto alle donne della stessa età non in attesa, nonché presentano un maggior rischio di parto prematuro.

La questione delle conoscenze in materia di Covid-19 è così complicata però che è difficile star dietro a tutte le evidenze che si accumulano, riconosce su The Conversation John Allotey Lecturer in Epidemiology and Women’s Health alla University of Birmingham che si occupa proprio di questo. Lo è al punto che ancora oggi, a oltre un anno di distanza dalla dichiarazione dello stato di pandemia, su gravidanza e Covid-19 si trovano informazioni in parte discordanti. Ma più che discordanti probabilmente non completamente aggiornate alla luce delle ultime evidenze in materia, o non abbastanza da cambiare radicalmente le conclusioni. A riflettere in sostanza il clima di incertezza e conoscenza in divenire di cui sopra. Quello che appare piuttosto chiaro è che comorbidità associate alla gravidanza possono aumentare i rischi associati a un’infezione da coronavirus. Ma non solo.

Così, se, per esempio, il rischio complessivo rimane comunque basso, continuano oggi i Cdc, da più parti arrivano evidenze a sostengo del fatto che la gravidanza possa rappresentare un fattore di rischio per forme gravi di malattia, ovvero che possano richiedere ospedalizzazioni e terapie intensive. Certo, non è da escludere che, almeno in alcuni casi, sia la cautela riservata verso le donne incinte ad aumentare la probabilità di ricoveri, precisano per esempio dal Royal College of Obstetricians and Gynaecologists.

Messi da parte i fattori di rischio che possono complicare un’infezione da coronavirs, cosa succede in gravidanza, cosa potrebbe rendere più delicato il decorso da Covid-19? Il motivo avrebbe a che fare con la risposta immunitaria nelle donne incinte, che può per esempio aumentare il rischio di infezioni respiratorie virali, colpendo anche gravemente le mamme, riassumono dall’Oms. Ma c’entrano anche la ridotta capacità polmonare, l’aumentato consumo di ossigeno e di rischio di tromboembolismo. Sono soprattutto questi timori, uniti al clima di incertezza, a riservare un occhio di riguardo alle donne incinte in epoca Covid-19, anche laddove non venga riconosciuto un maggior rischio associato alla gravidanza.

Quali sono i fattori di rischio per le donne incinte

Eppure, nell’ultima revisione di Allotey e colleghi – ma anche altrove – si parla di un aumentato rischio di forme più gravi di Covid-19 nelle donne incinte. In particolare, si legge sul British Medical Journal dove l’analisi di Alltey relativa a oltre 64mila donne è stata pubblicata e da poco aggiornata, le donne incinte sono più spesso asintomatiche e, quando presenti, mostrano meno sintomi di coetanee non in attesa, come febbre e affanno (sebbene, riconoscano gli autori, verosimilmente le donne incinte sono più testate). Di contro però, in caso di Covid-19, sembrano più a rischio di ospedalizzazioni in terapie intensiva e ventilazione, con età più avanzata, alto indice di massa corporea, comorbidità preesistenti come fattori associati ai casi gravi, insieme all’appartenenza a un’etnia non caucasica. “Le donne incinte con Covid-19 rispetto a quelle senza Covid-19 hanno una più alta probabilità di partorire prima del termine e potrebbero avere un aumentato rischio di morte materna e di essere ammessi in terapie intensive. È più probabile che i loro bambini siano ammessi in unità neonatali…i tassi complessivi di natimortalità e morte neonatale sono basi nelle donne con sospetto o confermato Covid-19”, si legge sul Bmj.

Per quanto vasta come revisione sul tema, sono gli stessi autori a rimarcare il carattere provvisorio delle evidenze accumulate, e a ribadire i limiti delle analisi, come il fatto di riferirsi soprattutto a donne che si recano in ospedale, la mancanza di numerosi set di dati in materia di complicazioni associate a Covid-19, e non da ultimi i fattori confondenti – quali le restrizioni fisiche e sociali – che possono aver alterato le condizioni in ci vivono le donne e avvengono i parti. Tanto che al momento in cui scriviamo la posizione (aggiornata a febbraio) dell’Istituto superiore di sanità (Iss) è questa: pur riconoscendo un aumentato rischio di parto prematuro, la presenza di comorbidità e cittadinanza non italiana come fattore di rischio per ricoveri e polmonite da Covid-19: “Le donne in gravidanza non sembrano essere a maggior rischio rispetto alle non-gravide per infezione grave da Covid-19 che richiede il ricovero ospedaliero”.

Vaccino, sì, no, quando? Le risposte dell’Istituto superiore di sanità

Di nuovo, le evidenze, sono in divenire. Ma considerato il periodo delicato della gravidanza, le raccomandazioni degli esperti per evitare il rischio di infezioni e malattie per le donne in attesa non possono che essere ribadite con più forza. E accanto alle precauzioni valide per tutti – dal distanziamento sociale, a una corretta e ripetuta igiene delle mani, all’uso della mascherina – da qualche tempo si aperto anche il capitolo della prevenzione vaccinale. Ma anche qui una risposta certa in materia non esiste. Le vaccinazioni sono raccomandate per le donne in attesa? E quelle in allattamento? E quelle che cercano una gravidanza?

La risposta è che le valutazioni vanno fatte di caso in caso, valutando rischi e benefici, riassume l’Istituto superiore di sanità, e che la vaccinazione andrebbe presa i considerazione soprattutto per le donne ad alto rischio di sviluppare complicazioni da Covid-19, nonché donne ad alto rischio di esposizione al virus stesso aggiungono dal Royal College of Obstetricians and Gynaecologists. Nelle casistiche di mezzo, l’Iss spiega come la vaccinazione possa essere prevista anche per le donne in allattamento o la seconda dose rimandata a dopo il parto se ci i accorge di essere incinta dopo la prima. Evidenze che scoraggino l’uso dei vaccini in gravidanza non ce ne sono al momento, ma è bene ricordare che le sperimentazioni che hanno portato all’approvazione dei vaccini non hanno incluso donne incinte o in allattamento. Qualche dato però comincia ad arrivare anche in questo campo: uno studio appena pubblicato su American Journal of Obstetrics & Gynecology mostra che i vaccini (a mRna) sono in grado di indurre una risposta anticorpale maggiore delle infezioni naturali nella donne incinte e che allattano, paragonabile a quelle di donne non in attesa, e che gli anticorpi si ritrovano nel sangue del cordone ombelicale e nel latte.


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Il virus può passare al nascituro?

Gli aspetti legati all gravidanza e Covid-19 sono tanti e riguardano tanto la salute della mamma che quella del nascituro. Citando ancora la posizione dell’Iss, a oggi: “Non c’è al momento evidenza di un aumentato rischio di aborto, della natimortalità o della morte neonatale in relazione all’infezione materna da Covid-19” e “Non c’è al momento evidenza di effetti teratogeni sul feto”; “Le evidenze a sostegno di un maggior rischio di iposviluppo fetale non sono conclusive; ad oggi viene considerato un evento possibile”. Analoghe conclusioni sono quelle del Royal College of Obstetricians and Gynaecologists. Serviranno monitoraggi più estesi per avere però un quadro più chiaro della situazione, per esempio attraverso studi che seguano lo sviluppo dei bambini dopo la nascita, come racconta Nature.

Un sottocapitolo, all’interno di questo tema, è quello dedicato al rischio di infezione nel neonato, e ancor prima a quello di trasmissione verticale, ovvero in utero o in prossimità del parto. A proposito non ci sono evidenze della presenza del virus nel latte materno – tanto che l’allattamento viene comunque incoraggiato, adottando, laddove necessario per la presenza di sintomi o infezione accertata, tutte le possibili misure di prevenzione – ma la trasmissione verticale resta possibile, sebbene sia piuttosto difficile stabilire l’esatto momento dell’infezione nel neonato, laddove risulti positivo. Risultati positivi si hanno in piccole percentuali a poche ore dal parto, riassume l’Oms in una pubblicazione in materia, in genere i neonati che non sviluppano sintomi gravi. Ciò detto, anche il rischio di trasmissione verticale va monitorato, tanto per la mamma che per il nascituro, perché potrebbe essere una rara complicazione associata a Covid-19 in gravidanza, scrive Mehreen Zaigham della Lund University descrivendo un caso di un neonato positivo al coronavirus e di un insolita placenta danneggiata su The Conversation.

Via: Wired.it

Credits immagine: freestocks on Unsplash

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