Emergenza Peste suina africana: siamo noi i primi responsabili

L’emergenza Peste suina africana (PSA) si sta diffondendo in Italia, per ora solo tra i cinghiali. Dopo circa 120 ritrovamenti di carcasse infette in diverse zone della Liguria e del Piemonte, l’Istituto zooprofilattico sperimentale dell’Umbria e delle Marche (IZSUM), Centro di referenza nazionale per lo studio delle malattie da Pestivirus e da Asfivirus, ha accertato quattro nuovi casi a Roma. Pur non essendo trasmissibile all’uomo, la PSA desta notevoli preoccupazioni perché colpisce anche i maiali domestici e può avere enormi ricadute sull’economia suinicola nazionale. Nelle zone interessate dai ritrovamenti è previsto infatti l’obbligo di abbattere i maiali e il blocco delle esportazioni di carni e derivati in base agli accordi commerciali internazionali. E per arginare l’emergenza, cosa facciamo?

Come ridurre la trasmissione locale della PSA

Non possiamo mettere al sicuro gli allevamenti suini con un vaccino, perché, come ricorda a Galileo Carmen Iscaro del Centro di Referenza Nazionale di IZSUM, a oggi non esiste un vaccino contro la peste suina, nonostante l’impegno di molti istituti a livello mondiali, tra cui l’IZSUM stesso. L’unica soluzione al momento è uno specifico piano di eradicazione concordato con le autorità locali, nazionali ed europee. “Isolare le aree infette e successivamente applicare il depopolamento dei cinghiali dalle zone limitrofe con abbattimenti selettivi è importante per evitare che il virus salti dalla zona in cui è confinato e possa avanzare, rischiando di colpire anche gli allevamenti di maiali, come è già accaduto nella maggior parte dei paesi al mondo”, spiega Iscaro. Inoltre, poiché il virus resiste molto nell’ambiente, soprattutto se umido e a bassa temperatura, le carcasse infette devono essere rimosse tempestivamente. E particolare attenzione deve essere posta a tutti gli spostamenti, di oggetti e persone: le attrezzature, gli automezzi, le scarpe e gli indumenti contaminati con il sangue e le deiezioni di animali infetti sono un’altra fonte di contaminazione e per questo motivo è proibita qualsiasi attività umana nelle aree dei ritrovamenti. Anche la caccia è vietata perché movimenterebbe e disperderebbe gli animali.

Contenere il numero dei cinghiali

La densità della popolazione dei cinghiali, in crescita negli ultimi anni, può influire a livello locale sulla velocità del contagio nella prima fase della epidemia, ha aggiunto Iscaro. Anche se, secondo l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), la persistenza dell’infezione non è densità-dipendente. “Il contenimento del numero dei cinghiali – aggiunge Iscaro – agevola l’eradicazione della peste e per questo motivo da anni il ministero della salute ha richiamato gli assessorati di ambiente, sanità e agricoltura a collaborare a livello regionale per una gestione attenta della popolazione”. A tal proposito, il Ministero della salute, a partire dal 2020, ha deciso di avviare un piano nazionale di sorveglianza passiva, in cui si dispone anche la necessità di attuare misure di gestione del cinghiale per la prevenzione e il contrasto della PSA. Tra le altre cose, figurano l’intensificazione della caccia di selezione, indirizzata cioè a individui giovani e femmine di tutte le età, e metodi di caccia a basso impatto (vale a dire che non facciano uso di braccate, onde ridurre la movimentazione degli animali).

Il ruolo umano nella propagazione a lungo raggio del virus

L’essere umano gioca un ruolo fondamentale nella trasmissione indiretta e a lungo raggio del virus. Iscaro ricorda come i virus responsabili dei focolai trovati in Italia appartengono allo stesso genotipo di tipo II. “L’introduzione puntuale del virus a Roma è sicuramente causata da un fattore umano anche se ad oggi non si può risalire alla causa esatta”. Né prevedere come evolverà: “Mentre il movimento dei cinghiali è un fenomeno maggiormente prevedibile, il fattore umano non lo è mai”.

Molte sono le attività umane potenzialmente pericolose, collegate o meno alla caccia: la movimentazione legale o illegale di animali vivi, l’importazione di prodotti animali, sottoprodotti e mangimi. Pesano anche la somministrazione ai maiali di scarti di cucina contaminati, la pratica illegale di alimentare i cinghiali selvatici sempre più vicini ai centri abitati ed infine lo smaltimento non corretto dei rifiuti alimentari, specie se contenenti carni suine. Il piano del Ministero della salute richiama esplicitamente il contrasto al foraggiamento di sostegno. La pratica, già vietata dalla L. 221/15, è utilizzata ancora dalle squadre di caccia in braccata (cioè di squadra con i cani) per renderli più legati a un determinato territorio. Infine, il piano richiama anche l’abbandono definitivo dell’immissione di cinghiali in ambiente non confinato, già vietata dalla stessa legge, ma che sembrerebbe ancora praticata dai cacciatori.

Credits immagine: CrizzlDizzl via Pixabay

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