Deserti 2) – Il Sahara era rigoglioso.

ACACUS

Al posto di queste dune di sabbia, una volta c’era una savana rigogliosa abitata da animali e uomini.

Attorno alle due zone montuose chiamate Tadrat Acacus e Tassili N’Ajjer, 10.000 anni fa pascolavano elefanti e grandi bovidi e la terra era fertile.

Qui all’ombra delle grotte e dei molti ripari naturali, vissero genti che furono prima cacciatori, poi allevatori, e infine vennero scacciati dalla loro terra da quel mutamento epocale del clima che avrebbe trasformato quest’area abitabile in una distesa di sabbia e rocce aride.

Fu 5.000 anni fa,con l’inizio della desertificazione, che queste genti si spinsero verso il Nilo. Furono loro gli antenati dei Faraoni?

pitturerupestrianticoegittoNon dobbiamo immaginare che il Sahara sia sempre stato arido. Nel corso dei millenni, a periodi di siccità anche peggiori di quello attuale si sono alternate fasi di pioggia frequenti.
Durante questi periodi umidi l’ambiente si trasformava in una savana alberata con fiumi e laghi dove oggi ci sono le dune.
Per esempio, sotto le dune dell’erg (letteralmente ”grande sabbia”) di Uan Kasa , che separa la falesia dell’Acacus dall’area montuosa del Messak al confine tra Libia e Algeria , sono stati trovati i resti di antichissimi laghi e le testimonianze di un’intensissima frequentazione umana con piccoli strumenti di selce forse usati per la pesca.
Infatti è con il ritorno delle piogge, tra i 14.000 e i 5.000 anni fa, che la fauna torna a ripopolare quest’area e con esse anche le comunità di cacciatori che finalmente possono disporre di cibo abbondante e di un habitat favorevole.
Proprio di questo periodo vi sono numerose tracce di graffiti incise nelle rocce del Sahara.

Tadrart Acacus

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Posto all’estremità sud occidentale del Sahara libico, il Tadrart Akakus è un altopiano di circa 900 m d’altezza, con cime che superano i 1300 m che si estende in direzione nord sud per circa 150 km di lunghezza e 30 km di larghezza. Ad est è contornato dagli erg sabbiosi di Uan Kaza e Murzuk mentre a ovest confina con il Tassili algerino.

ALGERIA / Acacus / rock formation

ALGERIA / Acacus / rock formation

Una lunga storia geologica, le trasformazioni millenarie del clima e l’azione erosiva del vento hanno fortemente tormentato la morfologia del territorio, costituito da massicci di arenaria, intersecati da fiumi fossili risalenti alla preistoria che hanno scavato profondi canyon e scolpito le rocce in forme caratteristiche, a volte molto spettacolari. Ne è un esempio il cosiddetto “Arco di Trionfo” che si erge per oltre 50 metri nella zona di Fozzigiaren.
Questo ambiente naturale, in epoche remote, era in grado di ospitare popolazioni e animali. Il Sahara, infatti, e tutta l’Africa del nord erano un’immensa savana percorsa da fiumi impetuosi e popolata da una ricca fauna selvaggia. Le tracce di questa presenza sono visibilmente giunte ai nostri giorni in forma di graffiti e immagini pittoriche di grande pregio, preservati nei millenni grazie al clima secco e asciutto, nonostante l’esposizione all’erosione della sabbia e del vento.

L’Uadi Teshuinat

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Il ramo fluviale principale dell’Acacus, è l’area dove si riscontra la maggior concentrazione di siti rupestri.
Questo uadi, si sviluppa per circa 60 chilometri nella parte centrale del massiccio. Il suo stretto canyon via via si allarga lasciando il posto a un’ampia vallata delimitata da vertiginose falesie verticali.
Un luogo di spettacolare bellezza quale l’uadi Teshuinat, dal cui letto sabbioso appaiono scorci panoramici sempre diversi, non poteva non alimentare la fantasia dei padroni del deserto, i tuareg. Al centro del Teshuinat emergono, completamente isolati, due enormi roccioni dai fianchi ripidissimi, uno dei quali è detto “dei mille cammelli”.

Si narra, infatti, che un giorno, all’epoca in cui il letto dell’uadi offriva pascolo per le mandrie, un tuareg si vantò che avrebbe potuto arrampicarsi sino alla vetta della roccia più elevata e inaccessibile. I tuareg lo misero alla prova promettendogli, come premio per questa impresa, mille cammelli. Il temerario accettò la sfida e, indenne, arrivò in cima. Purtroppo per lui non seppe più scendere dalla vetta conquistata e vi morì di fame e di sete, contemplando dall’alto la sua enorme e vana ricchezza.

Alla base delle pareti di roccia dell’uadi numerosi ricoveri naturali hanno offerto riparo agli uomini primitivi che, in molti casi, li hanno decorati con stupendi affreschi, studiati da appassionati ricercatori di tutto il mondo. I più interessanti dipinti si trovano nei siti di Uan Amil, Tin Tarharit e In Farden.

Uan Amil

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E’ probabilmente il sito più interessante dell’intero uadi.
Il ciclo di affreschi, databile in epoca pastorale antica, è di assoluta bellezza e affascina attraverso scene tratte dalla vita quotidiana, di battaglia e di caccia. La Preparazione dell’acconciatura e la Scena della vestizione trasportano immediatamente in una quotidianità lontana migliaia di anni e raccontano le fasi preparatorie per la realizzazione della cosiddetta “chioma a cimiero”, pettinatura in auge anche nell’antica Roma.

Un altro episodio di estremo interesse è la cosiddetta Coercizione in cui una figura femminile è trascinata all’interno di un recinto circolare da un personaggio (probabilmente un’altra donna), aiutato da una terza figura maschile che sospinge la donna riluttante.
Di chiaro significato epico è invece la Scena della Battaglia, in cui si fronteggiano due schiere di guerrieri. A sinistra, venti uomini si caratterizzano per acconciature con un ciuffo giallo, lo schieramento avversario è invece composto da guerrieri che presentano l’acconciatura con il ciuffo rosso. Sulla destra spiccano due figure regali dai tratti raffinati, che si scambiano dei doni tra i quali, decisamente riconoscibile, un boomerang. Probabilmente l’intera scena è il primo esempio nella storia dell’umanità di descrizione di un fatto realmente accaduto: la contesa di pascolo e lo scontro tra le etnie dei ciuffi gialli e dei ciuffi rossi, terminata con un’alleanza suggellata dallo scambio di doni tra i capi e un matrimonio di stato.

Alla base di un’imponente parete di roccia, la grotta di Tin Tarharit si apre al cospetto di un’alta duna che, riportando la mente al più tipico paesaggio sahariano, contrasta vivamente con le scene rappresentate dall’abile mano degli antichi cacciatori africani. Alla destra della vistosa spaccatura che caratterizza questo riparo, si incontra una vivace Caccia al muflone, seguita da due Figure femminili. Sulla parte destra si sviluppa il cosiddetto Galoppo volante, una scena composta da due carri equestri di colore rosso intenso. Il medesimo riparo ospita anche una splendida giraffa gialla punteggiata in ocra, alcuni capridi e un grande bovino che allatta un vitello.

Messak Settafet

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sahara16“Il massiccio nero”, è un ambiente naturale molto diverso dall’Acacus: si tratta di un vasto altopiano, intagliato da spaccature rocciose, ricoperto da detriti di arenaria lucidati dalla sabbia e anneriti dal caldo rovente del Sahara.
Un territorio desolato, praticamente senza vegetazione, tranne che negli uadi. Eppure, in una vicina epoca geologica, quest’area che si perde verso sud, nella piana che annuncia le dune dell’Erg di Murzuq, era una foresta rigogliosa, contornata da praterie, solcata dalle acque di un grande fiume, l’attuale uadi Bergiug.

sahara17Come, ancora oggi, avviene centinaia di chilometri più a sud, foresta e savana riecheggiavano dei richiami della fauna selvaggia, ricchezza per gli uomini preistorici, che ne traevano fonte di nutrimento e di ispirazione artistica. L’arenaria del Messak Settafet ha offerto a queste popolazioni un vasto territorio di caccia e la prima tela su cui raccontare il proprio mondo che, intatto, è giunto sino a noi, all’epoca della computer grafica.

sahara18Nel 1850 l’esploratore James Richardson, il naturalista Adolf Overweg e l’archeologo Heinrich Barth furono i primi europei ad ammirare i graffiti del Messak Settafet; incisioni, come annotò Barth, che “portano il segno di una mano forte e rilassata, ben esercitata in questo tipo di lavoro”. Da allora l’arte rupestre del Fezzan ha attratto molti studiosi: Leo Frobenius, Paolo Graziosi, Fabrizio Mori, tutti affascinati dalla vita che traspare da questa foresta perduta.

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“Il massiccio nero”, è un ambiente naturale molto diverso dall’Acacus: si tratta di un vasto altopiano, intagliato da spaccature rocciose, ricoperto da detriti di arenaria lucidati dalla sabbia e anneriti dal caldo rovente del Sahara.
Un territorio desolato, praticamente senza vegetazione, tranne che negli uadi. Eppure, in una vicina epoca geologica, quest’area che si perde verso sud, nella piana che annuncia le dune dell’Erg di Murzuq, era una foresta rigogliosa, contornata da praterie, solcata dalle acque di un grande fiume, l’attuale uadi Bergiug.

sahara17Come, ancora oggi, avviene centinaia di chilometri più a sud, foresta e savana riecheggiavano dei richiami della fauna selvaggia, ricchezza per gli uomini preistorici, che ne traevano fonte di nutrimento e di ispirazione artistica. L’arenaria del Messak Settafet ha offerto a queste popolazioni un vasto territorio di caccia e la prima tela su cui raccontare il proprio mondo che, intatto, è giunto sino a noi, all’epoca della computer grafica.

sahara18Nel 1850 l’esploratore James Richardson, il naturalista Adolf Overweg e l’archeologo Heinrich Barth furono i primi europei ad ammirare i graffiti del Messak Settafet; incisioni, come annotò Barth, che “portano il segno di una mano forte e rilassata, ben esercitata in questo tipo di lavoro”. Da allora l’arte rupestre del Fezzan ha attratto molti studiosi: Leo Frobenius, Paolo Graziosi, Fabrizio Mori, tutti affascinati dalla vita che traspare da questa foresta perduta.

matendush1

Punto di riferimento dell’arte rupestre sahariana, il sito dell’uadi Mathendush si trova alle pendici sud orientali dell’altopiano del Messak Settafet. I cinquanta metri della falesia dello uadi costituiscono lo scenario di questo spettacolare museo a cielo aperto, che ci immerge nell’epoca dei cacciatori messakiani.

Al centro del sito si manifesta l’universo reale e mitologico di queste popolazioni primitive, e prende vita attraverso tratti profondamente incisi che delineano le immagini staccandosi dalla parete accuratamente lisciata. Questa sorta di santuario è dominato da due animali immaginari, che si fronteggiano, eretti sugli arti posteriori. La postura aggressiva delle zampe anteriori contrasta con l’atteggiamento generale delle due figure dalle movenze feline, che lievitano verso l’alto in una sorta di danza rituale. Tra i due Gatti Mammoni (Meercatze), come li battezzò Frobenius, spiccano le incisioni di quattro piccoli struzzi.
Sotto le due bizzarre figure si dispiegano opere di indubbio interesse artistico. Una giraffa, l’animale di gran lunga più rappresentato, con zampe poderose e collo forte. A destra la fronteggiano due cerchi: quello inferiore, coevo all’immagine, è formato da due cerchi concentrici raccordati da nove linee, una delle quali prosegue verso il basso fino a congiungersi a una forma irregolare.

Basandosi sulle tecniche di caccia ancora utilizzate dalle popolazioni Dinka e Nuer del Sudan meridionale, i ricercatori hanno ipotizzato che queste forme geometriche, presenti anche in altri graffiti, rappresentino delle trappole finalizzate ad imprigionare gli arti dell’animale. Questo, trattenuto da una pesante pietra diveniva così più facilmente attaccabile dagli uomini con lance e pugnali. Probabilmente questa rappresentazione aveva la funzione di pannello didattico, per istruire i giovani e iniziarli alle tecniche venatorie.
Verso l’estremità sinistra del Mathendush un possente coccodrillo preda un erbivoro, mentre, più a sinistra, si staglia un grande rettile, probabilmente un varano d’acqua, animale che, autentico fossile vivente, sopravvive ancora nel massiccio dell’Ennedi.
Nei circa 1000 metri del Mathendush, l’arenaria racconta, attraverso centinaia di immagini, la primordiale storia di cacciatori, in un ambiente difficile ma di straordinaria bellezza.

In Galghien

sahara20“La pozza dei corvi”, secondo il suo significato in tamahaq, la lingua dei tuareg, si trova alle pendici sud orientali dell’altopiano del Messak Settafet. Però per tutti gli appassionati d’arte rupestre sahariana In Galghien è “il posto degli elefanti” a causa della grandiosità ed efficacia con cui sono riprodotte le scene di caccia al mastodontico pachiderma. Tecniche venatorie, ancora oggi utilizzate dai pigmei delle foreste centrafricane, si alternano a rappresentazioni di struzzi e di giraffe, oltre a un ippopotamo che, inevitabilmente, ci induce ad immaginare un ambiente naturale ricco di acqua e di vegetazione.

In questo sito sono facilmente distinguibili anche i caratteri alfabetici tifinhag, usati dai tuareg. Di epoca molto più recente, ma non sempre leggibili, si riferiscono a stadi antichi della lingua tamahaq. Nella maggior parte dei casi si tratta di frasi estremamente semplici, che si trovano in corrispondenza dei punti di sosta delle carovane. La presenza dei tifinhag segnala, quindi, l’esistenza di falde acquifere.

Ma quando questi uomini cominciarono a incidere sulle rocce?

I graffiti che risalgono a 4.500 anni fa sono tutti ricoperti da una patina grigia che si formò all’incirca in quell’epoca. Ma nel solco dei graffiti più antichi si riscontrano anche un processo di corrosione che è precedente rispetto alla formazione della patina, che è stato provocato da alterazioni climatiche verificatasi in un momento dell’antico Olocene, tra 10.000 e 7.000 anni fa.

Non si conosce la data precisa ma si ritiene che i graffiti antichi possono precedere quella data e risalire fino a 12.000 anni fa.

E’ verosimile che siano l’opera delle prime popolazioni giunte nel Sahara centrale al seguito delle piogge monsoniche.

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