Dal cannabidiolo, alle vitamine, alle miniere di sale: la sfida per una cura contro il Long Covid

Il risultato negativo di un tampone che dimostra l’assenza del Sars-Cov2 nell’organismo viene solitamente accolto con un senso di grande sollievo, e comunque è noto che nei malati non sono mai state trovate tracce del virus dopo tre mesi dall’infezione. Ma, come documenta accuratamente nel suo libro la farmacologa e giornalista Agnese Codignola, la guarigione può lasciare pesanti strascichi anche in chi ha presentato sintomi leggeri o ha superato facilmente la malattia.

Si tratta di una sindrome denominata Long Covid da Elisa Perego, docente presso l’University College di Londra. Raccolti sotto questo nome hanno ottenuto visibilità clinica e possibilità di accertamenti i diversi sintomi presentati dalle tante persone guarite dal Covid-19 ma ancora molto sofferenti. Il nome ha dato una sorta di diritto di esistenza alla stanchezza logorante – chiamata fatigue-, alla mancanza di fiato, al dolore alle articolazioni o al petto, all’anosmia, ad un disturbo neurologico chiamato brain fog, a forme di depressione, alle malattie cardiovascolari o all’epatite cronica conseguenti alla infezione e alla guarigione dal Covid-19. Ma Anthony Fauci già nel 2021 notava che “dal 15 al 30% di persone ha, per settimane o per mesi, una persistenza di segni e sintomi non completamente spiegabili”.

Agnese Codignola

Il lungo Covid. La prima indagine sulle conseguenze a lungo termine del virus

UTET, 2022

pp. 231, € 18,00

Le difficoltà di una cura dipendono dal fatto che i sintomi del Long Covid cambiano da persona a persona e cambia anche il loro modo di manifestarsi nel tempo; sono più gravi nelle donne che negli uomini e colpiscono anche i bambini in età pediatrica. Questa complessa fenomenologia ha reso molto difficile sia riuscire a identificarne le cause sia proporre modalità di intervento.

Codignola spiega come molti laboratori e Centri di ricerca stanno cominciando ad indagare su questa strana sindrome, raccogliendo dati statistici, lavorando sulle autopsie, cercando correlazioni con altre epidemie virali o con altre manifestazioni patologiche meglio conosciute.

Si studiano le modalità e le tracce dell’infiammazione prodotta dal Long Covid cercandone le conseguenze. Per esempio l’infiammazione cerebrale può causare il brain fog, o quella a carico delle fibre nervose olfattive può provocare distorsione dell’olfatto. Ora si comincia anche a pensare che possa trattarsi di sindromi autoimmuni, causate cioè da anticorpi che reagiscono contro proteine prodotte dall’organismo infettato. Alcune ricerche suggeriscono che i vaccini possano avere un effetto protettivo contro il Long Covid o almeno apportare benefici a chi ne è colpito, altre ricerche propongono trattamenti che aiutino il paziente a convivere con la malattia, mantenendosi in buone condizioni di salute, usando farmaci più o meno efficaci e affidandosi alla psicoterapia. In particolare le donne, accusate da sempre di somatizzare difficoltà psicologiche, hanno trovato sollievo sia in gruppi di ascolto e condivisione sia nell’attenzione di medici che hanno preso sul serio le loro sofferenze.

Codignola illustra anche alcune nuove interessanti ipotesi che potrebbero spiegare la varietà dei disturbi. Si pensa infatti che il Sars-Cov2 possa restare in tracce non rivelabili nell’organismo continuando ad aumentare l’infiammazione cronica. Oppure può darsi che il sistema immunitario non riesca, dopo l’infezione, a tornare all’equilibrio precedente; o ancora potrebbe trattarsi di un risveglio di altri virus già presenti nell’organismo allo stadio quiescente. In particolare, sembra che dopo il Covid possano slatentizzarsi (uscire dalla fase di latenza) l’herpes del citomegalovirus e quello della mononucleosi.

Altre infezioni virali lasciano strascichi simili al Long Covid, e Codignola li mette a confronto con quello che si sa, per esempio, sul Long Ebola o sulle conseguenze a lungo termine del morbillo o su quelle provocate da un herpes virus come quello della varicella che, dopo anni di latenza, può scatenare l’herpes zoster.

Oltre alle ricerche cliniche, nell’ultima parte del saggio, vengono citati diversi tipi di terapie riabilitative, dagli esercizi di respirazione in aria satura di sale nelle miniere vicino Cracovia, all’uso controllato del diaframma realizzato con vocalizzazioni di ampiezza crescente ed estese nel tempo. Si sono ottenuti miglioramenti con terapie in camera iperbarica e, soprattutto, vengono adattate ai pazienti Long Covid terapie già sperimentate sui disturbi di brain fog o fatigue presentati da pazienti oncologici. La ciarlataneria propone, ovviamente, rimedi miracolosi ed è importante non lasciarsi abbindolare, sia per le modalità di riabilitazione riabilitazione sia per la proposta di farmaci non tradizionali. Compaiono invece più serie proposte sull’uso del cannabidiolo, i cui effetti collaterali non sono ancora noti, sull’uso di cellule staminali, di sali, peptidi e vitamine di vario genere, si studia persino l’efficacia di terapie psichedeliche che potrebbero interrompere i circuiti ruminativi della memoria e facilitare così l’uscita dall’esperienza traumatica. L’uso di alcune droghe, ben controllato, potrebbe forse aiutare il personale sanitario che ha operato in prima linea contro il Covid, ad uscire dal burn-out o sostenere psicologicamente le persone che hanno particolarmente risentito del lock-down o dello stravolgimento della vita quuotidiana.

Sarebbe comunque indispensabile, conclude Codignola, modificare il tradizionale rapporto medico- paziente dando maggiore importanza, e credito, alla sintomatologia per cui si chiede un aiuto (molte pazienti di Long Covid sono state considerate semplicemente nevrotiche). Ma bisognerebbe anche aumentare e modernizzare le strutture di accoglienza, preparare il personale ospedaliero senza sottoporlo a turni o a responsabilità stressanti e disporre, insomma, di un sistema sanitario adatto a prendersi cura dei long covid di oggi e a fare fronte – eventualmente- alle future pandemie.

Credits immagine: Albert Dehon on Unsplash

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