Covid:19: è lotta contro il tempo per scoprire le origini del virus

La ricerca sull’origine del coronavirus è per ora in una fase di stallo. Sapremo mai dove il patogeno ha colpito per la prima volta? Più il tempo passa e più sarà difficile rispondere. A mettere in guardia sul tempo che stringe, in un editoriale su Nature, è il gruppo di scienziati che ha fatto parte della task force dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nella missione in Cina che tra gennaio e febbraio 2021 ha cercato le prime tracce del coronavirus Sars-Cov-2. I ricercatori segnalano l’urgenza di test del sangue sui lavoratori e sugli allevatori di fauna selvatica. Ma molte fattorie e attività sono già chiuse e gli animali sono stati abbattuti, cancellando anche potenziali indizi.


Perché si torna a parlare dell’origine del coronavirus


A caccia di fattorie

“Conoscere le origini di una pandemia devastante è una priorità globale, fondata sulla scienza”, scrivono gli esperti nell’editoriale: “Ogni ritardo renderà alcuni degli studi biologicamente impossibili”. La finestra temporale in cui si può ancora scoprire qualcosa si sta rapidamente chiudendo, proseguono gli scienziati, se pensiamo che gran parte delle indagini si basa sul rilievo di anticorpi specifici anti Sars-Cov-2 che diminuiscono nel tempo. L’idea è di svolgere test presso gli allevamenti che fornivano animali al mercato Huanan di Wuhan, riconosciuto come un punto centrale per la diffusione del virus. Le fattorie e le aziende in questione contano 14 milioni di lavoratori, secondo un censimento del 2016, ma molte hanno già chiuso, rendendo difficile l’identificazione dell’origine del patogeno.

Cosa sappiamo ad oggi sul coronavirus

La task force si è recata a Wuhan lo scorso gennaio per una missione di quattro settimane, durante la quale ha tentato di far luce, tramite test di laboratorio, indagini e questionari, sulla prima comparsa del coronavirus. A febbraio gli scienziati hanno concluso che probabilmente il virus proviene da animali – dal pipistrello o dal pangolino – mentre la fuoriuscita da un laboratorio risulta molto improbabile. Gli autori indicano che il patogeno circolava ampiamente già nel dicembre 2019 ed è ragionevole pensare che il virus sia emerso prima, anche se non sappiamo dove e quando. Sicuramente il mercato del pesce di Huanan, inizialmente segnalato come punto di origine dell’epidemia, ha avuto un ruolo centrale e probabilmente ha dei collegamenti e interagisce con mercati di animali selvatici.

Le critiche alla prima valutazione

Subito dopo la pubblicazione di questo rapporto, il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus ha affermato che l’ipotesi della provenienza da laboratori non era stata adeguatamente studiata. In realtà nell’editoriale i ricercatori ribattono che questa possibilità è citata nel rapporto, anche se le prove non erano tali da richiedere una valutazione più estesa.

Un’altra obiezione riguarda il fatto che la Cina non abbia condiviso in maniera adeguata i dati e che le informazioni a disposizione provengano principalmente da studi ufficiali e pubblicati sulle riviste.

I prossimi passi

La ricerca, però, non si fermerà qui. A luglio l’Oms ha annunciato la creazione di un comitato per indagini future. Questo gruppo, in corso di formazione, si chiamerà Sago (Scientific advisory group for the origins of novel pathogens) e valuterà più approfonditamente il possibile ruolo dei laboratori nell’origine del virus. Fino al 10 settembre sono aperte le candidature (qui le informazioni) di scienziati che vogliano entrare a far parte del comitato.

L’istituzione di questo team è una buona notizia, anche se il nuovo processo di studio – specificano gli autori su Nature – rischia di aggiungere mesi di attesa che non favoriscono il raggiungimento dell’obiettivo. Sempre in luglio, inoltre, la Cina ha rifiutato di collaborare con l’Oms per una seconda fase d’indagine, come riporta l’agenzia Reuters, e il viceministro Zeng Yixin della Commissione sanitaria nazionale cinese ha ribadito che alcune informazioni e dati grezzi non possono essere condivisi per ragioni legate alla privacy. Ma gli scienziati lavoreranno anche su questo, come spiega su Science Maria Van Kerkhove dell’Oms, per cercare di ricondurre e basare l’indagine su fondamenti scientifici e non sul dibattito politico.

Via Wired.it

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