Coronavirus: l’immunità di gregge continua a far discutere

È la nostra capacità di resistere all’attacco di un’infezione, verso la quale la maggior parte di noi è immune. Si tratta della tanto discussa immunità di gregge, che ora torna nuovamente sulla cresta dell’onda delle polemiche. Oltre all’evidenza che lasciare che la trasmissione incontrollata del virus possa causare ancora più contagi e decessi, come già più volte sottolineato dalla comunità scientifica, oggi arriva un nuovo studio dell’Imperial College di Londra che offre ulteriori conferme al fatto che l’immunità di gregge possa essere impraticabile. La ricerca, che ha coinvolto 350mila persone del Regno Unito, dimostra infatti che i livelli di anticorpi tra i positivi al coronavirus tendono a diminuire in breve tempo: in tre mesi la percentuale di pazienti con anticorpi contro il nuovo coronavirus è diminuita del 26,5%. Dati, quindi, che pongono ulteriori nuovi dubbi sulla nostra capacità di sviluppare un’immunità a lungo termine.

L’immunità di gregge è un’idea pericolosa, non supportata da alcuna prova scientifica e che dovrebbe abbandonata il più presto possibile. Un concetto questo ampiamente condiviso dal mondo scientifico. Per cominciare, per esempio, l’immunologa Antonella Viola, docente dell’Università di Padova, ha espresso di recente un parere sull’idea dell’immunità collettiva per il coronavirus che non lascia alcun dubbio. “Qui serve un punto fermo: dire che usciremo da questa pandemia con l’immunità di gregge è una stupidaggine colossale”, ha scritto l’esperta in un post su Facebook. “Il raggiungimento dell’immunità richiederebbe troppi malati, troppi ricoveri, troppi decessi. I paesi raggiungono l’immunità con le vaccinazioni, non lasciando libero il virus”. A lanciare lo stesso allarme, nei giorni scorsi, sono stati anche 80 scienziati in una lettera aperta pubblicata sulla rivista The Lancet. “È un errore pericoloso, non supportato da prove scientifiche”, si legge nella lettera, firmata anche dagli italiani Anna Odone, Walter Ricciardi e Carlo Signorelli. “Controllare la diffusione di Covid-19 nella comunità è il modo migliore per proteggere la società e l’economia finché non saranno disponibili un vaccino e delle terapie efficaci”.

Della stessa opinione è anche l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che ha da poco aggiornato il suo documento relativo all’immunità di gregge. Oltre a chiarire che si basa sul concetto per cui una popolazione può essere protetta da uno specifico virus se viene raggiunta una soglia di vaccinazione (ricordiamo per esempio che quella per il morbillo è del 95%), gli esperti dell’Oms sottolineano: “l’immunità si ottiene proteggendo le persone da un virus, non esponendole al patogeno”. I tentativi di raggiungere l’immunità esponendo la popolazione, condannano gli esperti, portano a ulteriori contagi, sofferenze e decessi. “La maggior parte delle persone infettate dalla Covid-19 sviluppa una risposta immunitaria entro le prime settimane, ma non sappiamo quanto sia forte o duratura. Ci sono state anche segnalazioni di persone che sono state contagiate una seconda volta”, ricordano dall’Oms. “Fino a quando non avremo compreso meglio l’immunità per la Covid-19, dovremo proibire qualsiasi strategia che cerchi di aumentare l’immunità all’interno di una popolazione consentendo alle persone di infettarsi”.

Anche per la rivista Nature l’immunità di gregge, abbracciata dal presidente americano Donald Trump e da altri governatori, è “una falsa promessa che potrebbe portare a ulteriori lutti e indicibili sofferenze”. Solitamente, infatti, si parla di immunità di gregge in relazione a programmi di vaccinazione su larga scala. Elevati livelli di immunità indotta dalla vaccinazione nella popolazione, precisa Nature, proteggono coloro che non possono ricevere o rispondere sufficientemente a un vaccino, come le persone con un sistema immunitario compromesso. “Sono perplesso sul fatto che il termine sia ora usato per indicare quante persone debbano essere infettate prima che questa cosa finisca”, commenta Marcel Salathé, epidemiologo della Scuola politecnica federale di Losanna.

E, infine, anche l’Economist si è espresso a riguardo. Secondo una sua recente analisi, infatti, alcune aree dell’Italia settentrionale hanno effettivamente acquisito un’immunità sufficiente a rallentare la diffusione della Covid-19. Confrontando i nuovi casi della seconda ondata con i decessi della prima ondata, spiega la rivista, è emerso uno scenario abbastanza chiaro: i comuni che hanno registrato il maggior numero di morti in primavera stanno avendo, durante quest’autunno, il minor numero di nuove infezioni. In sostanza, spiegano dall’Economist, far sì che il 25% della popolazione sia provvista degli anticorpi, una quota elevatissima se si pensa che nessun paese europeo ha a livello nazionale una sieroprevalenza superiore al 7% (anche se il 24% dei bergamaschi ha mostrato anticorpi rilevabili a luglio scorso), insieme al distanziamento sociale, potrebbe rallentare la diffusione di Covid-19. Ovviamente, siamo ancora lontanissimi da questo obiettivo. “Questi dati non dimostrano la fattibilità dell’immunità di gregge”, spiega su Twitter James Tozer, giornalista dell’Economist. “Senza un vaccino, il costo per ottenere una immunità anche lieve sarebbe elevatissimo”. Infatti, le città più colpite come Bergamo hanno perso più dell’1% dei cittadini prima di riuscire a frenare la diffusione del coronavirus. “Si spera che altre aree si possa raggiungere questo vantaggio, ovviamente a un costo meno devastante”.

via Wired.it

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