Con quali parole racconteremo la pandemia alle generazioni future

Il 2020 vi ha lasciato senza parole? Forse è perché non erano state inventate, non ancora. Per trovarle, la rivista Science ha lanciato il sondaggio NextGen VOICES, rivolgendo ai giovani scienziati la domanda: “Quale nuova parola o frase aggiungeresti al dizionario per aiutare gli scienziati a spiegare gli eventi del 2020 alle generazioni future?”. L’idea, spiegano dalla rivista, è che avremo probabilmente bisogno di nuovi termini per descrivere gli aspetti caratterizzanti della pandemia Covid-19. Al sondaggio lanciato su Twitter con l’hashtag #NextGenSci, hanno risposto con entusiasmo i giovani scienziati, chiamati a dare un nome a persone, atteggiamenti e situazioni che ormai sono entrati a pieno titolo nella nostra vita quotidiana. Ecco una selezione dei migliori, quale aggiungereste?

Biopartisan

Morgan Daly Dedyo per l’anno appena alle spalle ha proposto “biopartisan”. Il significato rimanda al fatto che l’obbligo della mascherina, il piano vaccini anti-Covid, il lockdown e il distanziamento sociale – al netto delle proteste dei no-vax e no-mask – sono diventati anche una volontà politica che ha raccolto e interpretato i dati e le raccomandazioni della comunità scientifica per la tutela della salute pubblica.

Chaoticatempus

La definizione perfetta per il 2020 è forse quella di JiaJia Fu: l’anno del caos e della paura, che ha annientato – se non fisicamente, almeno psicologicamente – tutti quanti noi. In una parola “chaoticatempus” per indicare questo anno funesto che passerà alla storia per il caos e il panico che ha scatenato nel mondo. Ma con una speranza: forse, con i primi vaccini prodotti a tempi record, siamo un passo più vicini alla fine di questo chaoticatempus che è stato il 2020, dice Fu.

Fearonomics

Durante tutto il 2020, la paura del contagio ha portato all’acquisto di mascherine e disinfettanti in grandi quantità. La paura di restare bloccati in casa ha indotto a fare scorta di lievito, pasta e altri beni di prima necessità. La paura della Covid-19 è stata la fortuna della vitamina C, della lattoferrina e di altri integratori, di dubbia utilità contro la malattia. Quando il sentimento della paura diventa così radicato in una società, può influenzare anche i modelli di business. “Fearonomics”, proposto da Anant Kumar Srivastava, è un termine che in italiano potrebbe essere tradotto con “economia della paura” (dall’inglese “fear”, paura). Durante una pandemia, infatti, la paura diventa un’opportunità di piazzare sul mercato prodotti e servizi per soddisfare le esigenze di una società in preda alle emozioni.

Manusiccosis

Lavare e disinfettare spesso le mani, gli oggetti e le superfici per ridurre il contagio: ce lo siamo sentiti ripetere tutto l’anno. A forza di sfregare, igienizzare e asciugare, qualcuno potrebbe aver sviluppato una condizione di “manusiccosis” ( dal latino “manus”, mano e “siccum”, secco), per dirla come ha fatto Felicia Beardsley. Mani secche, arrossate, screpolate: per i virtuosi dell’igiene personale, è un sacrificio necessario. Per quanto fastidiosa e dolorosa, infatti, la manusiccosis può essere davvero il minore dei mali in tempi di pandemia.

Maskonimity

Vi siete abituati così tanto ai vostri colleghi con la mascherina da non riuscire quasi più a riconoscerli senza? Quella persona che avete conosciuto da poco, sotto la mascherina, non è per niente come la avevate immaginata? È tutto normale, e anzi Mark Martin Jensen ha coniato un termine per questo nuovo “anonimato della mascherina” o “maskonimity”: l’incapacità di riconoscere l’identità o le emozioni di una persona, quando la metà del suo viso è coperta.

Naked nosers

Coprire la bocca con la mascherina non basta, se il naso rimane all’aria aperta. Il termine “naked nosers” – coniato da Nikos Konstantinides – prende spunto proprio da coloro che, per pigrizia, indossano sì la mascherina, ma lasciando scoperto il naso (dall’inglese “naked”, nudo) – secondi per negligenza solo a chi la mascherina la porta attaccata al braccio. Per estensione, un naked noser potrebbe essere definito anche chi non crede nella scienza, ma è costretto – dalla società o dalla legge –  a conformarsi alle norme stabilite sulla base dei criteri scientifici, scrive Science.

Social notworking

Nel 2020 siamo diventati tutti più connessi: è stato l’anno dello smart-working, delle riunioni su zoom, del networking e della didattica a distanza. Qualcuno, però, ha continuato a fare del web un uso principalmente ludico. Per chi non ha potuto lavorare da remoto, ma ha trascorso la pandemia postando sui social media, Katie Burnette ha coniato addirittura un nuovo verbo. Quel vostro contatto che pubblicava video e foto sui social mentre voi lavoravate? Faceva “social notworking” e probabilmente non vi sarà stato molto simpatico.

Virutopia

L’ultimo anno l’abbiamo vissuto qua, in quella che potremmo raccontare ai posteri come una “virutopia” dice Basant A. Ali, una condizione in cui le persone hanno imparato a coesistere con il virus e a fare anche dei sacrifici per il bene comune, riducendo al massimo le uscite non necessarie, i contatti sociali.

Zoomdemic

Il 2020 ha sdoganato lo smart-working: si lavora da casa e, al massimo ci si incontra virtualmente, per evitare assembramenti e ridurre i contatti interpersonali. Così, oltre alla Covid-19, è scoppiata un’altra epidemia: quella delle riunioni online, vestiti bene almeno dalla cintura in su e con uno sfondo gradevole alle spalle. Per lavorare sì, ma anche per farsi gli auguri in tempo di feste. Elvira Sojli ha proposto di chiamarla “Zoomdemic”, dal nome, ovviamente, della piattaforma Zoom, una delle più utilizzate per i meeting via web. Un modo per assaporare, a distanza, la socialità perduta durante la pandemia. A patto però di non esagerare.

Trustbot

La Covid-19 è solo un’influenza? Il virus è stato creato in laboratorio? I vaccini contengono microchip per controllare la popolazione mondiale? Mai come durante il 2020, le fake news hanno spopolato sul web, contribuendo a seminare il panico o dando voce alle più improbabili teorie del complotto. Ma le bufale hanno i minuti contati grazie ai “trustbot”, fact-checker umani, scrive Athanasia Nikolaou, che proteggono le community online da attacchi automatizzati e contenuti ingannevoli. Quest’anno, di certo hanno avuto un gran da fare.

Riferimenti: Science

Credits immagine: Brett Jordan on Unsplash

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