Come distinguere un buco nero da un wormhole

Cosa c’è di più affascinante di un wormhole, ovvero un tunnel spazio-temporale che possa collegare due punti lontanissimi fra loro, in tempi rapidissimi? Una sorta di autostrada della materia e della luce, in grado di attraversare il tempo oltre che lo spazio. Si chiamano, appunto, wormhole, o ponti di Einstein-Rosen, e al momento esistono solo nel mondo della fisica teorica e in quello dei film di fantascienza (uno fra tutti, pensate a Interstellar). Non significa che non esistano in assoluto, significa che se esistono non siamo ancora stati in grado di osservarli. Ma un recente studio, pubblicato sulla rivista scientifica Physical Review D da un gruppo di ricerca dell’Università di Sofia in Bulgaria, ha messo a nostra disposizione un nuovo modello teorico che potrebbe aiutarci a distinguerli dai buchi neri, con i quali condividono molte caratteristiche.

Collegare due regioni dello spazio-tempo con caratteristiche opposte

Anche i buchi neri sono rimasti una mera ipotesi teorica per molto tempo, trasformatasi poi in una teoria dimostrata. Successivamente siamo anche riusciti a “immortalarli”, per la prima volta nel 2019 e poi di nuovo quest’anno. Si tratta – lo ricordiamo – di “pozzi profondissimi”, regioni dello spazio-tempo con caratteristiche estreme, la cui enorme gravità non dà scampo neppure alla luce, una volta che è stata inghiottita.

Per spiegare cosa sono i wormhole, abbiamo bisogno di introdurre un altro concetto ipotetico, quello dei buchi bianchi. Sarebbero dei parenti lontani dei buchi neri, con caratteristiche esattamente opposte: se i primi hanno una massa che tende all’infinito, i secondi non avrebbero massa; se dai buchi neri è impossibile uscire, nei buchi bianchi sarebbe impossibile entrare. Lo ribadiamo: mentre i buchi neri sono ormai un fenomeno accettato e rilevabile, i buchi bianchi sono oggetti ipotetici, che non siamo mai stati in grado di osservare. Che cosa c’entrano buchi bianchi e buchi neri con i ponti di Einstein-Rosen? Sempre in via ipotetica, questi sarebbero dei veri e propri ponti o tunnel che costituirebbero una via di fuga possibile dai buchi neri da un lato, e di accesso ai buchi bianchi, dall’altro. Un collegamento eventuale, in grado di attraversare vasti tratti dell’universo.

Com’è possibile distinguere un buco nero da un wormhole 

Secondo il modello simulato dal gruppo di ricerca dell’università di Sofia, le particelle che attraverserebbero un wormhole dovrebbero creare potenti campi elettromagnetici e risultare nell’emissione di radiazioni simili a quelle che ci permettono di rilevare i buchi neri. Stando a questa ipotesi, sarebbero quindi difficili da distinguere dai buchi neri e in effetti potrebbero nascondersi “in fondo” a quelli che abbiamo già osservato, senza che i nostri strumenti siano in grado di distinguerli. Banalizzando, è un po’ come la messa a fuoco nelle macchine fotografiche: ciò che siamo in grado di immortalare dipende dall’assetto del nostro obiettivo, dai suoi limiti fisici, da come lo orientiamo nello spazio. E ovviamente (ma nemmeno troppo) dipende dal fatto che sappiamo che cosa guardare o che cosa cercare.

Secondo il team di ricerca, le sottili differenze fra un buco nero e un wormhole potrebbero diventare visibili grazie ad un effetto detto “lente gravitazionale”, che già sfruttiamo per studiare l’universo e per il quale è necessario che una certa massa si posizioni fra noi e il fenomeno che stiamo osservando o che vorremmo osservare, distorcendo la luce a sufficienza da poter funzionare come una vera e propria lente di ingrandimento. La lente gravitazionale ingrandirebbe così le piccole differenze di comportamento che distinguono, in linea teorica, i buchi neri dai wormhole. Un altro modo, infine, sarebbe quello di individuare un wormhole con un’angolazione perfetta, vale a dire il cui ingresso sia esattamente rivolto verso di noi. Questo ci consentirebbe di osservare con maggiore chiarezza la luce che lo attraversa e di individuare quei dettagli che lo renderebbero distinguibile.

Questo tipo di simulazioni e di modelli ci permettono di mettere alla prova le leggi finora conosciute, in quel processo che conosciamo come avanzamento (o talvolta rivoluzione) scientifico. Ulteriori simulazioni potranno forse permetterci in futuro di scoprire addirittura nuove caratteristiche della luce, che ci consentano di distinguere gli ipotetici ponti di Einstein-Rosen senza il bisogno di trovare angolazioni perfette oppure di sfruttare il fenomeno delle lenti gravitazionali.

Via: Wired.it

Credits immagine: Alexander Antropov da Pixabay

Leggi anche: Se esistesse davvero un wormhole, dove dovremmo cercarlo?

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