Recenti studi condotti dalla NASA indicano che il loro prossimo telescopio spaziale, il Nancy Grace Roman, sarà in grado di individuare buchi neri primordiali, che potrebbero essere più piccoli dei buchi neri convenzionali e avere masse ancora inferiori a quelle di un pianeta come il nostro. Tuttavia, la loro esistenza è ancora oggetto di speculazione.
Ma cosa sono esattamente i buchi neri primordiali? Per comprendere la loro natura, è necessario considerare il processo di formazione dei buchi neri. I buchi neri stellari si originano da esplosioni di supernova di stelle massicce, in cui il nucleo collassa gravitazionalmente fino a creare un oggetto estremamente denso, in grado di intrappolare persino la luce.
La gamma di masse dei buchi neri varia da quelle di dimensioni solari a quelle di miliardi di volte la massa del nostro Sole. La formazione dei buchi neri supermassicci è un processo più complesso, che potrebbe derivare da stelle massicce o collassi di nubi di gas sotto l’azione della gravità.
Tuttavia, sin dal lontano 1966, è stata ipotizzata l’esistenza di una categoria completamente diversa di buchi neri: i buchi neri primordiali. Questi si sarebbero formati nei primi istanti dopo il Big Bang, quando l’universo era un ambiente denso di particelle in uno stato di plasma caldo.
La creazione di un buco nero in quel contesto non sarebbe stata particolarmente difficile, poiché l’universo stava vivendo un’espansione straordinaria durante l’inflazione cosmica. Anche subito dopo, le condizioni erano ancora favorevoli alla formazione di buchi neri, richiedendo solo una leggera differenza di densità per innescare il collasso e la creazione di un buco nero.
La peculiarità dei buchi neri primordiali risiede nella loro capacità di formarsi senza la necessità di condizioni stellari, consentendo la creazione di buchi neri di dimensioni molto più ridotte rispetto a quelli generati dalle supernovae. Si potrebbero quindi avere buchi neri primordiali con la massa di un asteroide compressa nelle dimensioni di una molecola, potenzialmente presenti nel nostro Sistema Solare.
Questi enigmatici oggetti potrebbero agire come parassiti, infiltrandosi nelle stelle e consumandole dall’interno, oppure potrebbero costituire il seme da cui nascono i buchi neri supermassicci, inclusi quelli al centro della Via Lattea.
Nonostante la loro natura teorica, le osservazioni condotte con il telescopio Roman potrebbero rivelarsi rivoluzionarie nel campo dell’astronomia. Il telescopio non si limiterà a ricerche non programmate, ma sarà impegnato nella ricerca di pianeti vagabondi, corpi celesti che si muovono liberamente nello spazio senza essere legati a una stella madre.
Questa ricerca potrebbe rivelare nel tempo l’esistenza dei buchi neri primordiali, potenzialmente individuandone un gran numero. William DeRocco, ricercatore post-dottorato presso l’Università della California Santa Cruz e autore principale dello studio, ha sottolineato che Roman sarà in grado di distinguere statisticamente tra buchi neri della massa terrestre e pianeti vagabondi.
Un aspetto entusiasmante è che, mentre il telescopio si dedicherà alla ricerca di pianeti, potrebbe portare alla luce scoperte inaspettate, come sottolinea Kailash Sahu, astronomo presso l’Istituto di Scienze del Telescopio Spaziale a Baltimora, che non ha partecipato allo studio.
Indipendentemente dal fatto che vengano trovate prove concrete dell’esistenza dei buchi neri della massa terrestre, i risultati di queste ricerche contribuiranno a rafforzare la nostra comprensione dell’universo. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Physical Review D.
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