Anche ammalandosi di Covid-19 si rischia una trombosi cerebrale

Mentre si attendono le decisioni dell’Ema sul vaccino di Johnson & Johnson – Janssen (la cui distribuzione in Europa è attualmente ferma per decisione della stessa azienda), e paesi come la Danimarca hanno sospeso completamente le somministrazioni di quello AstraZeneca, la ricerca lavora alacremente per chiarire i rischi reali posti dai due vaccini ad adenovirus contro Covid-19. Impresa non facile, perché parliamo di potenziali eventi avversi estremamente rari non solo nella popolazione vaccinata, ma anche in quella generale. Che devono essere soppesati attentamente anche contro quelli posti dalla malattia: è noto infatti che le trombosi del seno venoso cerebrale sono una delle possibili complicazioni legate a Covid 19. Quanto spesso? Una nuova ricerca inglese ha provato a stabilirlo una volta per tutte, analizzando l’incidenza del problema in oltre 500mila pazienti americani con Covid, per stabilire se i rischi posti dalla malattia superino, o meno, quelli potenzialmente legati al vaccino. E pur con molti limiti, il responso sembrerebbe rassicurante: le trombosi cerebrali sarebbero infatti più comuni ammalandosi di Covid-19 di quanto non lo siano vaccinandosi.

I limiti, dicevamo, sono però diversi: lo studio è attualmente disponibile in preprint sulla piattaforma Open Science Framework, e non possiede quindi il grado di certezza di uno studio che ha passato il processo di peer review. Non si tratta inoltre di uno studio che ha comparato direttamente l’incidenza delle trombosi del seno venoso cerebrale tra pazienti Covid e persone vaccinate con i vaccini ad adenovirus, e può quindi dirci solamente quale sia l’incidenza del problema in seguito alla malattia, ma non quale sia tra chi riceve i vaccini AstraZeneca o Johnson Johnson. Per tentare un paragone i ricercatori hanno utilizzato i numeri forniti dall’analisi Ema sul vaccino AstraZeneca lo scorso 7 aprile, ottenendo un dato di incidenza comparando il numero di eventi avversi riportato con il totale delle vaccinazioni eseguite fino a quel momento. Ma è chiaro che, trattandosi di campioni molto differenti, il paragone tra i due numeri va preso con le pinze.

Tolti di mezzo i limiti della ricerca, è il caso ovviamente di parlare anche dei suoi meriti: si tratta di uno studio con un ampio campione di partecipanti, e con tre gruppi di controllo rappresentati da un secondo gruppo di pazienti colpiti dall’influenza, e quasi altre 500mila persone a cui è stato inoculato uno dei due vaccini a mRna, quello Pfizer o quello Moderna. Cosa dicono i risultati? Che nella popolazione analizzata il rischio di sviluppare una trombosi del seno venoso cerebrale è molto, molto, più alto in seguito a Covid 19 rispetto a tutti gli altri eventi analizzati. Nei pazienti Covid l’incidenza è infatti pari a 39 casi per milione, nelle persone vaccinate con Pfizer o Moderna scendiamo ad appena 4 casi per milione, e nei malati di influenza arriviamo addirittura a 0 casi per milione.

Prendendo la stima dell’incidenza di trombosi cerebrali nelle persone vaccinate con AstraZeneca calcolata sui dati Ema, pari a 5 casi per milione, anche il rapporto rischi/benefici del vaccino diventa assolutamente positivo: ammalandosi di Covid-19 il rischio è quasi otto volte superiore di quello che si corre vaccinandosi. Dei casi emersi nello studio in seguito a Covid-19, 14 su 20 sono stati registrati in persone under 60, il che porterebbe l’incidenza di trombosi del seno venoso cerebrale prima dei 60 anni a circa 28 casi per milione, comunque superiore a quello emerso per la popolazione generale e per i vaccinati. E anche per gli under 30, i casi sono circa 12 per milione. Un numero elevato, ma che diventa estremamente difficile da confrontare con le altre categorie perché i campioni non sono uniformi in termini di età anagrafica e altri fattori demografici.

Come dobbiamo interpretare dunque i risultati dello studio? Sicuramente ci danno un’idea più precisa dei rischi di sviluppare una trombosi venosa cerebrale che corre un malato di Covid, e ci dicono che, se pur bassi in assoluto, sono abbastanza elevati, trattandosi una problematica estremamente rara anche nella popolazione generale. Parlando di vaccini ad adenovirus, non è possibile fare un paragone diretto, ma l’alta incidenza del problema in seguito alla malattia aiuta senz’altro a mettere i pericoli in prospettiva, e a ridimensionarli. Anche perché bisogna ricordare che ammalarsi di Covid-19 non espone solamente al pericolo di trombosi, ma a un ampio ventaglio di complicazioni potenzialmente fatali. Si tratta quindi di una valutazione molto difficile, che dovrebbe tenere conto anche dei rischi personali di contrarre il virus. Come è facile vedere in questa serie di slide realizzate dall’università di Cambridge, la rilevanza dei potenziali effetti indesiderati dei vaccini diminuisce al crescere delle chance di contrarre il virus:

Profilo di rischi/benefici del vaccino AstraZeneca in uno scenario di bassa circolazione del virus (immagine: Università di Cambridge)
Profilo di rischi/benefici del vaccino AstraZeneca in uno scenario di media circolazione del virus (immagine: Università di Cambridge)
Profilo di rischi/benefici del vaccino AstraZeneca in uno scenario di altacircolazione del virus (immagine: Università di Cambridge)

Per tirare le fila, insomma, è presto per dire quali siano i pericoli individuali legati alla vaccinazione con le fiale di AstraZeneca o Johnson & Johnson – Janssen. Quel che è certo è che se esistono sono veramente molto bassi, e sono controbilanciati (in una proporzione più o meno ampia) da quelli che si corrono in caso di malattia.

Via: Wired.it

Leggi anche: Perché il vaccino Johnson & Johnson è monodose?

Credits immagine di copertina: 🇮🇩 Irwan on Unsplash

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