5 cose da sapere sul mieloma multiplo

Una malattia dai sintomi difficili da individuare che colpisce sempre più italiani: il mieloma multiplo è la seconda patologia onco-ematologica più diffusa per la quale esistono diverse opzioni terapeutiche ma anche dei bisogni ancora insoddisfatti. Anche perché nella stragrande maggioranza dei casi la malattia ritorna nonostante il trattamento. Ecco cinque cosa da sapere su questo tumore.

E’ un tumore in continua crescita. Il mieloma multiplo è la seconda patologia onco-ematologica per diffusione e in continua ascesa: in Italia secondo l’Associazione Italiana Oncologia Medica (AIOM) dal 2014 al 2019 i casi sono aumentati del 9%, passando da 5.200 a 5.700, di cui 3.000 uomini e 2.700 donne. È un tumore che origina da un particolare tipo di cellule del midollo osseo chiamate plasmacellule, il cui compito, di norma, è produrre anticorpi che servono a contrastare le infezioni. Una plasmacellula che muta e inizia a moltiplicarsi in modo incontrollato produce un clone (cioè una popolazione identica) di cellule tumorali, che liberano grandi quantità di un solo tipo di anticorpo che si accumula nell’organismo. Non solo, le plasmacellule tumorali possono produrre anche sostanze in grado di stimolare l’azione di cellule chiamate osteoclasti, il cui compito è demolire il tessuto osseo, che dunque si indebolisce.

I sintomi sono difficili da individuare. Non sempre il mieloma multiplo è sintomatico. Spesso nei primi stadi la malattia non si manifesta, oppure si presenta con sintomi aspecifici come stanchezza e mal di schiena. Segnali che possono sollevare un sospetto di diagnosi di mieloma multiplo sono dolore alle ossa persistente o ricorrente (in particolare alla schiena, alle anche e alle costole) e fragilità ossea. Le plasmacellule neoplastiche possono invadere il midollo osseo e stimolare l’azione degli osteoclasti indebolendo il tessuto osseo, che può andare incontro a fratture con più facilità. Anche la stanchezza persistente e le difficoltà respiratorie possono essere un sintomo del mieloma multiplo e possono essere dovute ad anemia (cioè alla carenza di globuli rossi che non vengono più prodotti a sufficienza dal midollo osseo) e a eventuali problemi renali.

In 9 casi su 10 la malattia si ripresenta. A seconda dello stadio del mieloma multiplo sintomatico esistono ad oggi diverse terapie disponibili: dalla chemioterapia tradizionale ai farmaci inibitori del proteasoma, dagli immunomodulanti agli anticorpi monoclonali, fino agli inibitori dell’istone deacetilasi. Per i pazienti più giovani, in alcuni casi, un’altra opzione è il trapianto di cellule staminali autologhe. Nessuna terapia però è in grado di guarire il paziente, e il tasso di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi è del 54%. Il tumore delle plasmacellule è infatti una malattia complessa ed eterogenea che dopo un trattamento o un periodo di remissione nella maggior parte dei casi (>90%) tende a ripresentarsi (mieloma recidivato o ricorrente). Spesso, oltretutto, le recidive sono più difficili da trattare perché non rispondono più alle terapie (mieloma refrattario).

È una malattia che incide sulla qualità di vita. Il mieloma multiplo colpisce in età avanzata: i pazienti sono quindi in media anziani e molto spesso presentano anche altre malattie. È quindi fondamentale che abbiano accesso sì ai migliori trattamenti disponibili, ma seguendo un percorso di cura e protocolli basati su solide evidenze cliniche che possano assicurare insieme al più lungo periodo di sopravvivenza possibile una qualità di vita dignitosa.

Esiste oggi una nuova opzione terapeutica. È oggi disponibile in Italia una nuova terapia, isatuximab, per il trattamento delle forme di mieloma multiplo più aggressive, quelle recidivate e refrattarie. Il nuovo farmaco è un anticorpo monoclonale (mAb) diretto contro CD-38 che si somministra per via endovenosa in combinazione con pomalidomide e desametasone (pom-dex) a pazienti adulti che hanno ricevuto almeno due precedenti trattamenti (tra cui lenalidomide e un inibitore del proteasoma) e che hanno mostrato progressione della malattia durante l’ultima terapia. L’associazione, ad oggi unica, dei tre farmaci ha dimostrato di ridurre significativamente il rischio di progressione di malattia o di morte rispetto al solo regime pom-dex.

Credits immagine: Marcelo Leal on Unsplash

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